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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
15/06/2024
Live Report
Tropical F**k Storm, 14/06/2024, Fans Out Festival, Vaglio Serra, Asti
Il Fans Out Festival di Vaglio Serra, in provincia di Asti, è a tutti gli effetti uno degli appuntamenti estivi da rubricare sotto "festival bomboniera da non perdere". Con ottima location e organizzazione come non godersi quindi i Tropical F**k Storm, per l'occasione accompagnati dagli ottimi Duck Baleno e dalle brillanti Genn. Com'è stato? Venite a leggere i dettagli!

Per la prima delle tre date che hanno segnato il ritorno dei Tropical Fuck Storm in Italia, non avrebbe potuto esserci location migliore. Vaglio Serra, in provincia di Asti, non è esattamente il posto che ci si aspetterebbe per ospitare un concerto di una band del genere, eppure da qualche anno il piccolo borgo del Monferrato ospita Fans Out, una rassegna musicale dove si suona al centro del paese e dove ogni tanto succede anche di imbattersi in qualche interessante sorpresa.

Partiamo dalla location, appunto. C’è un borgo storico molto suggestivo, che viene recintato per l’occasione e predisposto di tutto il necessario per intrattenere i presenti: ci sono diversi stand di cibo, ottime birre artigianali (tutto a prezzo modico, è importante sottolinearlo), bancarelle varie e due palchi, uno, piccolino, situato su un terrazzo nei pressi della chiesa, l’altro, il principale, in fondo alla strada, ed è di fatto lì che si esibiranno gli act più interessanti.

Tocco finale, una vista davvero piacevole del panorama circostante, visto che siamo leggermente in alto. Inseriamo dunque anche Fans Out all’interno di tutti quegli appuntamenti musicali estivi che nel nostro paese sono un autentico must (penso, tra gli altri, ad Arti Vive, a Ferrara sotto le stelle, a Sexto ‘N Plugged, a Tener-a-mente e ad Ypsigrock, giusto per citare i principali) poiché danno la possibilità di assistere a concerti di assoluto livello  in posti di grande valore culturale e scenografico.

Unico neo, se posso permettermi, è l’orario, perché con tre gruppi principali, il fatto che il primo fosse programmato per le 21.30, ha obbligato noi milanesi ad un ritorno a casa particolarmente impegnativo.

 

Entrando nel dettaglio di ciò che è successo, i primi a salire sul palco grande sono i veronesi Duck Baleno, dove milita Francesco Ambrosini dei C+C=Maxigross. Sarebbe però sbagliato considerare il quartetto come una semplice emanazione della ben più conosciuta band. Il gruppo è coeso e affiatato e, sebbene le influenze siano quelle, è dotato di un’identità propria, manifestata a pieno nelle canzoni di Popa’s Nightmare, al momento l’unico disco realizzato (sono però usciti alcuni nuovi singoli negli ultimi mesi)

Gran bel set, il loro, animato da una psichedelia funkeggiante dai chiari inserti rock. I vari brani hanno tiro e potenza da vendere, con le linee vocali “acide” che ben si alternano a parti strumentali (soprattutto chitarristiche) di grande fantasia, che mi hanno a tratti ricordato gli I Hate My Village di Adriano Viterbini.

Promossi a pieni voti, attendiamo il prossimo lavoro.

 

Tocca ora alle Genn, quartetto britannico (di Brighton, per la precisione, a conferma di tutto il fermento che c’è da quelle parti) dalle radici maltesi (tre componenti su quattro provengono da lì).

Lo scorso autunno è uscito Unum, l’esordio sulla lunga distanza, e la tentazione di rubricarle sotto l’etichetta “revival Post Punk” sarebbe forte ma assolutamente fuori luogo. Se è vero che le ritmiche si muovono ora sinuose, ora tribali, con un gioco di pulsazioni che può a tratti ricordare le Warpaint (Leanne Zammit al basso e Sofia Rosa Cooper alla batteria fanno davvero un grande lavoro), le melodie chitarristiche prendono spesso altre strade, grazie alla fantasia di Janelle Borg, spesso impegnata in incursioni nella musica mediterranea e arabeggiante; da ultimo, Leona Farrugia è dotata di una vocalità potente e aperta, fortemente melodica e ben lontana, per esempio, da quella di una Dana Margolin (giusto per rimanere su Brighton).

Il loro è un concerto davvero brillante, con Farrugia che ha carisma da vendere e anima un set che mette in evidenza una band del tutto padrona dei propri mezzi. Se un appunto può essere fatto, è che a tratti i brani appaiono un po’ sfilacciati, senza un vero e proprio centro, e si perdono via, per colpa spesso di linee vocali un po’ caotiche. Al di là di questi difetti, tuttavia, c’è un gruppo dalle grosse potenzialità, che se saprà giocare al meglio le proprie carte, si ritaglierà uno spazio ben maggiore di questo, nell’affollatissima scena musicale britannica.

 

È ormai mezzanotte, quando viene il turno dei Tropical Fuck Storm. Avevo visto la band di Melbourne al Primavera Sound di due anni fa, ma in quell’occasione, pur avendo spaccato tutto davanti ad un pubblico entusiasta, avevano suonato alla luce del sole, in un contesto per certi versi dispersivo, ragion per cui desideravo vederli all’opera in notturna, all’interno di un ambiente più raccolto.

Detto fatto. L’attacco di “Braindrops” mette subito in chiaro quali saranno le coordinate della serata: volumi altissimi (la resa sonora è stata molto soddisfacente per tutte e tre le band) e una performance dominata da una furia primordiale, con un’attitudine a metà tra l’irruenza Garage ed il rumorismo di scuola Sonic Youth, che va a sporcare notevolmente la matrice Post Punk del repertorio del quartetto.

Chi li avesse sentiti solo nella versione, per certi versi rassicurante, dei dischi, non può essere davvero preparato a quel che succede sul palco. Gareth Liddiard è scatenato, una vera e propria forza della natura, con un approccio selvaggio e viscerale all’esecuzione dei pezzi, che lo porta a fare a pezzi le linee vocali e a lacerare gli spazi con un suono aggressivo e tagliente, in questo supportato a dovere da Erica Dunn, chitarrista eccezionale (quando duetta con Liddiard su riff e fraseggi atonali e stranianti viene davvero la pelle d’oca) impegnata anche alle tastiere, così da donare ad alcuni brani un surplus di groove.

Aggiungiamo il drumming devastante di Lauren Hammel, che pesta davvero come una furia, e le pulsanti linee di basso di Fiona Kitschin, ed otterremo un quadro ben diverso, per certi versi trasfigurato, rispetto a quanto accade sui dischi: potrebbero ricordare a tratti i Birthday Party, ma molto più arrabbiati e iconoclasti degli originali.

 

Il caos è spesso e volentieri il motore dei brani, soprattutto quando la voce di Liddiard viene doppiata dai cori di Kitschin e Dunn, mentre le chitarre si producono in rumorismi e giochi di feedback degni del miglior Thurston Moore.

Basterebbe anche solo questo, ma poi c’è il repertorio, con canzoni di altissimo livello, provenienti da tre dischi uno più bello dell’altro (forse l’ultimo Deep States avrebbe potuto essere maggiormente valorizzato, ma si sa che la band dal vivo preferisce suonare i primi due), dove anche gli episodi più lenti e riflessivi (“Legal Ghost”, “Rubber Bullies”) subiscono il trattamento di cui sopra, assumendo una veste decisamente più aggressiva.

È un’orgia di autentica devastazione, con le varie “Chamaleon Paint”, “You Let My Tyres Down”, “Antimatter Animals”, “Paradise”, nonché la cover dei Lost Animal “Lose the Baby”, a spazzare letteralmente via i presenti.

Dura un’ora e non ci sono bis, nonostante, dopo essere scesi dal palco, siano stati chiamati a gran voce dai presenti, non molto numerosi ma senza dubbio entusiasti. È un peccato, perché a questo livello non ci si stancherebbe mai di ascoltarli, ma è anche vero che 60 minuti di questa intensità hanno ripagato in pieno la fatica del viaggio.

Tra i concerti dell’anno senza dubbio, anche se siamo solo a metà. A questo punto non resta che augurarci che le prossime due date, a Bologna e a Genova, vadano talmente bene da convincerli a ritornare al più presto. Ci manca ancora di vederli in un piccolo club e sono sicuro che è un’esperienza che merita di essere fatta.