Alla luce delle numerose uscite di quest’anno, alcune delle quali, è fuor di dubbio, con un taglio fortemente retrò, l’affermazione che il rock è morto e la chitarra elettrica è finita nello sgabuzzino, suona decisamente debole. Anzi, il ritorno ai suoni del passato e il recupero della forza propulsiva di sonorità graffianti sembrano essere tornate prepotentemente a far breccia nel cuore di band dalla giovane età anagrafica.
E’ il caso anche di questi cinque ragazzi inglesi, prevenienti da Cambridge, che con Tricks On My Mind si affacciano sulle scene, dando solida prova di quanto il passato possa essere riletto, se non con innovazione, quanto meno con fresca intensità. Tricks On My Mind è l'album che il frontman della band, il vocalist Leo Roberts, e il chitarrista Piers Mortimer, avevano in animo di pubblicare fin dal primo giorno in cui gli Sweet Crisis videro la luce, nel lontano 2015.
Il percorso è, però, stato più lungo del previsto del previsto, e solo nel 2019, con l’entrata nella line up di Dom Briggs-Fish (tastiere), Matt Duduryn (basso) e Joe Taylor (batteria), la formazione si è fatta forte e coesa, le idee più chiare, la volontà più determinata. Il materiale, certo, non mancava: sei anni di gavetta, oltre a temprare il gruppo alle fatiche del live act, hanno prodotto un songbook corposo, che in parte ha visto la luce in alcuni Ep e in parte è confluito in questo primo, intrigante album in studio.
Un background solido, nel quale si fondono influenze classiche e moderne che vanno dai Led Zeppelin, Free and Humble Pie fino a Lenny Kravitz, The Black Keys e Jack White, solo per citarne alcune. Nonostante le numerose canzoni pronte all’uso, i ragazzi hanno optato, però, per una scelta ragionata, evitando di mettere troppa carne al fuoco, ma allestendo una scaletta di dieci brani che mescola vecchi pezzi, rimaneggiati, e altri, nuovi, scritti per l’occasione.
"Loosen Up" è un’aperura intensa e di grande impatto, trainata da un groove rock blues potente e psichedelico, che mette subito in luce in luce l’affiatamento di un band rodatissima. La successiva, più lenta ma più heavy, "One Way Traffic" è ugualmente impressionante: contemporanea, nella sua spavalderia ritmica (Joe Taylor è un batterista davvero fantasioso) e classicissima nel suo rimando agli Zep, evidente nel cantato di Roberts e nel tappeto di tastiere in stile John Paul Jones (e che assolo di chitarra di Piers Mortimer, che ci dà dentro alla grande con il pedale wah wah). Le atmosfere soul blues di "Ain't Got Soul" sono uno dei momenti migliori dell’album, rallentano il passo della scaletta, mettendo in mostra gustosi effetti d’archi, spigliatezza melodica e un assolo finale di Mortimer davvero centrato per suono e intensità.
Se "This Guitar", costruita su una nervosa linea di basso, possiede una scintillante anima funky, "Karma Will Come" riesce a fondere Free, blues sudista e un tocco di gospel, mentre la title track scorre rapida, densa e sporca, su un riff in quota Hendrix. Se i sei minuti e mezzo di "Misty Haze", inseriti nel cuore del disco, partono bluesy e atmosferici e poi evocano ancora i Led Zeppelin nel concitato finale, il disco si chiude con altri due brani che danno ulteriore lustro a una scaletta impeccabile: le atmosfere soul anni ’70 di "Love Me Like Sugar", che suggerisce echi Steely Dan, e l’incredibile muro sonoro di "Living Life On The Edge", un groove ossessivo in cui gli Sweet Crisis dimostrano di saperci fare sia nell’approccio squisitamente strumentale sia nella costruzione dei brani, con vista su un’ipotetica live jam.
Davvero una bella realtà, questi ragazzi inglesi, che si sono riappropriati di un suono dato per morto, fondendo rock, blues, soul e funk, in un mix fresco, colorato e seducente, ritagliandosi così, tra le giovani rock band più intriganti del momento, un posto di prestigio. Da seguire con attenzione.