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RE-LOUDDSTORIE DI ROCK
02/12/2024
Tribalistas
Tribalistas
Torniamo a più di vent’anni fa, nel 2003. Tre pezzi da novanta della musica brasiliana si incontrano. Il risultato è “Tribalistas”, uno degli album più sereni e gioiosi di inizio secolo, ma sempre con quel pizzico di saudade a carezzare le melodie.

“E a gente canta, a gente dança

A gente não se cansa

De ser criança, a gente brinca

Na nossa velha infância”

 

“E cantiamo, balliamo. Non ci stanchiamo mai di essere bambini, giochiamo nella nostra vecchia infanzia”.

(Tribalistas, “Velha infância”)

 

Prendete Marisa Monte, la più carismatica voce del “nuovo” Brasile, Carlinhos Brown, il principe delle percussioni di Bahia, e aggiungetevi Arnaldo Antunes, già paroliere di Caetano Veloso: il risultato è spettacolare, le loro affinità elettive convergono in un album dallo charme senza tempo, difficile da catalogare per il mirabolante miscuglio di generi, con la conterraneità dei tre unico elemento a fungere da collante in un gruppo capace di rinnovare i fasti del tropicalismo, aggiornando tendenze e visioni di quello straordinario movimento sviluppatosi negli anni Sessanta.

Tribalistas è un gioiello del 2003, il disco (uscito a fine 2002 in terra carioca e ripubblicato alcuni mesi dopo in tutto il mondo) da ricordare in quest’epoca liquida che dimentica con uno scroll le canzoni del giorno prima. Quaranta minuti intensi per tredici brani ove si respira la vita di Rio. Ci sono i grattacieli e le favelas, il carnevale, la saudade, la passione, il gusto di vivere. Un’opera che abbraccia bossa nova, valzer, seresta, samba, rock, reggae e soul, registrata utilizzando prevalentemente strumentazioni acustiche. Le sonorità nascono dall’associazione fra una chitarra con corde di nylon e una con corde metalliche alle quali si aggiunge un’incredibile varietà di percussioni leggere, che intervengono con delicatezza, seguite talvolta da tastiere raffinate e un basso ammaliante. Solo in alcuni casi, come nell’hit internazionale “Já sei namorar”, i ritmi si infiammano, tuttavia permane un’atmosfera di rilassatezza, coesione.

 

Nessuna traccia all’interno della raccolta può venire classificata come riempitivo o minore e questa dichiarazione d’intenti comincia con la splendida “Carnavália” e prosegue nella ieratica “Um a Um” prima di un apice, “Velha Infância”, un “blues latino” con l’intreccio delle voci in grado di spappolare il cuore. Un inno alla vita senza esclusioni di età, con l’evocazione dell’infanzia per non dimenticare la gioia delle piccole cose, le prime scoperte, la mancanza di quel disincanto che rovina man mano lo scorrere dell’esistenza.

Direttamente collegata a “Velha Infância” sopraggiunge “Passe em Casa”. Sono canzoni circolari, senza una fine propria. Entrambe iniziano e finiscono allo stesso punto e affascinano proprio per questa caratteristica, facendo immaginare una “continuità limitata”, con il ritorno al punto di partenza. “O Amor É Feio” e “É Você” enfatizzano il concetto di trio, di tribù, di progetto collettivo di tre artisti che fanno anche della diversità una forza e in conclusione diventano un’entità sola, un unicum.

 

I testi dei Tribalistas, (si ascoltino ad esempio “Mary Cristo”, “Anjo da Guarda”), parlano apertamente di certezza, dogma, istituzioni, di Dio e della grande gioia quotidiana data dal vivere in comunione e forse è da qui che scaturisce l’idea di tribù. Nella loro analisi non vi è però nessun giudizio, nessuna certezza o religione, soltanto la pura letizia di fare qualcosa di diverso (pure musicalmente) insieme. Così in “Carnalismo” affiora la tradizione del valzer brasiliano, le liriche declinano espressioni desuete, un linguaggio molto raffinato per parlare di un amore carnale, vero: Me abraça e me faz calor, segredos de liquidificado, um ser humano é o meu amor, de músculos, de carne e osso pele e cor”.

“Pecado É Lhe Deixar de Molho” esprime invece dolore, tuttavia non è piena di vendetta e rabbia. Non c’è passione senza sofferenza e dentro all’uomo convivono felicità e tristezza. La saudade fa parte di noi, ma in “Lá de Longe” si trova il modo di allontanarla raccontando del valore del canto, del suo potere di creare un’atmosfera: “Longe, lá de longe, de onde toda a beleza do mundo se esconde, mande para ontem, uma voz que se expanda e suspenda esse instante”.

“Tribalistas”, pezzo da cui nasce anche il nome del progetto, è la chiusura allegra ma non troppo di un disco profondo, un labirinto di emozioni in cui perdersi per poi ritrovarsi più forti e consapevoli, irradiati dalla bellezza ispiratrice della musica.

Tribalistas è un album da tramandare nell’incertezza di questo primo quarto di secolo nuovo, per non dimenticare quanto possa far bene ascoltare un lavoro nella sua interezza, cogliendone anima, spirito e cuore per stare meglio con noi stessi.