I Topographies sono un gruppo statunitense composto da Jérémie Ruest alla chitarra, Justin Oronos al basso e Gray Tolhurst (il cui cognome dovrebbe accendere la lampadina agli amanti dei primi Cure) che ha da poco pubblicato il secondo album Interior Springs che, giustamente, ha quasi monopolizzato per intero il set proposto.
In occasione di tale uscita il gruppo ha iniziato proprio dal Tambourine la loro tournee europea, toccando per la prima volta il suolo italico (ringraziamo pertanto del “colpaccio” Brianza New Wave) come confermatomi da Jérémie prima dell’inizio del concerto.
Pure se le condizioni climatiche non sono state proprio favorevoli, il Tambourine presentava un cospicuo numero di presenze e di questo sono stato contento, posto che, ad esempio, al recente concerto (peraltro molto bello) dei La Sécurité al Bellezza (qui) eravamo veramente in pochini.
In apertura, dopo un breve intermezzo musicale di Max Keller, hanno suonato gli Starcontrol. Come già scritto nel live report delle Winter Severity Index (qui), il trio milanese risulta oramai una realtà del post-punk di casa nostra.
Davide, Laura e Moreno nel corso del loro set hanno presentato due nuovi brani e spero vivamente che siano quindi in procinto di editare qualcosa di nuovo che possa essere il degno proseguo del loro album Fragments.
Subito dopo sono saliti sul palco i Topographies; il trio americano ha iniziato il concerto con “Speak Through me” un brano presente nel loro EP del 2020 Not My Loneliness, but Ours, che ha dato subito la misura del sound della band, ovvero una combinazione di post-punk anni '80 con un tocco di shoegaze atmosferico.
Dopo l’esecuzione di “Interior Springs”, canzone che da anche il titolo al nuovo album, con il suo drumming set martellante, la scaletta dei brani ha proposto uno dei pezzi più belli del precedente LP Ideal Form, ovvero “Rose of Sharon”, dove il cantato di Gray sembra galleggiare tra una linea di basso pulsante e gli intarsi cristallini della chitarra.
Scusate l’excursus. ma penso che, per avere uno sguardo un poco più ampio e che aiuti a comprendere le sotterranee relazioni che legano vari artisti, non sia inutile sottolineare come Ideal Form sia stato registrato da Chris King dei Cold Showers e soprattutto masterizzato da Rafael Anton Irisarri, uno dei più grandi artisti di ambient music degli ultimi tempi.
Il concerto, che si è dipanato in dieci brani per circa un’oretta, con l’eccezione di due brani, ha poi previsto l’esecuzione di canzoni presenti nel secondo album, il già citato Interior Springs, a partire da un altro grande brano quale è “1959”, seguito da “Tied”, che, soprattutto nel cantato, mi ha ricordato un grande e misconosciuto gruppo dei fini anni ottanta, ovvero gli Snake Corps (fondati sulle ceneri di un altro gruppo ancora più grande, ovvero i Sad Lovers and Giants).
A seguire ecco “I never understood”, dove su una base elettronica ritmata in mid-tempo si eleva la voce di Gray su un contrappunto di una chitarra arpeggiante melodie colme di malinconia.
Verso la fine del set ecco invece un brano il cui beat con un gancio di “ruffiana” danzabilità muove i presenti ad un ballo ondeggiante, “Arch” diventa così l’epitome del nuovo post-punk che, come già evidenziato in altre pagine (vedi il live report dei Korine) viene presentato dai gruppi attuali in una forma più moderna e “malleabile” ad influenze dance.
Anche il brano conclusivo “Cleanse” con la sua melodia orecchiabile si è rivelata degno della conclusione del concerto che, come nella favola di Cenerentola, è scattata alla mezzanotte precisa.
Penso che ciò sia stato dovuto alle limitazioni imposte al locale (che praticamente è una specie di corte contorniata da abitazioni), fattore che non ha permesso l'eventuale esecuzione di alcun encore. Peccato, avrei gradito sentire dal vivo il brano di apertura di Interior Springs, ovvero “Night Sea”, o, ancor più, il brano più catchy and dreamy della loro discografia, ovvero “See you as you fall”, ma vorrà dire che sarà per una prossima volta.