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REVIEWSLE RECENSIONI
21/12/2020
Maru
Toi
Il secondo disco di Maru è il perfetto esempio di come il vestito da dare ai brani sia, se non addirittura più importante, almeno allo stesso livello del mero processo di scrittura.

Rispetto a “Zero Glitter”, uscito proprio due anni fa in questo periodo, la novità più importante è caratterizzata dalla maggiore componente elettronica presente nei vari brani. Che sia in gran parte responsabilità di Fabio Grande e Pietro Paroletti è altamente probabile, anche se i due artisti e produttori romani hanno sempre rispettato la personale visione dei nomi con cui hanno lavorato, limitandosi semmai a meglio valorizzarla. 

“Toi” vuole essere un modo per giocare con la parola “Toy”, un tentativo, appunto, di dimostrare che è tutto un gioco, che non occorre prendersi troppo sul serio. Eppure, accade che “Toi” sia anche il modo francese per dire “tu”. Non l’avrà fatto apposta, ma è un titolo altrettanto perfetto per descrivere un insieme di canzoni che, con umori e intenzioni diverse, si rivolgono tutte ad un interlocutore. Che sia il ricordo giovanile e un po’ ingenuo delle notti passate in tenda, la disincantata e autoironica consapevolezza dell'essere stata usata dalla persona amata, il desiderio di entrare nella realtà più libera, senza condizionamenti, la voglia di fuggire da circostanze e persone scomode, la consapevolezza di poter sottoporsi a sfide nuove nella speranza di poter poi ricominciare sempre da capo, si parla pur sempre di situazioni in cui la voce narrante dà del tu ad un'altra persona, si mette davanti a lei sincera e disarmata, comunicando se stessa senza il timore di essere rifiutata. 

Ci vuole un grande amore a sé per poter fare questo; o ci vuole “l'arte di perdere”, per dirla con la poetessa Elizabeth Bishop la cui “One Art” ha un po’ fornito l'ispirazione per queste canzoni. In effetti non si può perdere senza la consapevolezza di possedere già. Che è poi come dire che solo chi è in possesso di qualcosa di veramente importante, è in grado di sapere quando è il momento di rinunciare a qualcosa. 

E così Maria Barucco realizza un album che riesce ad essere maturo sotto tutti gli aspetti, musicali e testuali, un disco dove si racconta ora con ironia (“Free Trial”, “Elastici”) ora con maggiore drammaticità (“Sonno contro”, “Coincidenze”) e dove le già ottime intuizioni del disco d'esordio (si pensi all'ottimo singolo “Giorgia”) vengono ulteriormente sviluppate. 

Dicevamo, stesso stile e stesso talento per le melodie accattivanti e i ritornelli killer, ma con Fabio Grande e Pietro Paroletti a dare ai vari episodi un'impronta Synth Pop, talora con uno sguardo nostalgico alle grandi produzioni degli anni ‘80. 

Canzoni ben costruite, ottimamente cantate, spesso e volentieri vincenti a livello melodico e di impatto: “Quechua” è probabilmente il vero highlight, cassa dritta, percussioni e un ritornello costruito benissimo. “Vostok” non è da meno, nonostante giochi su un cliché tipico del mondo Indie, il luogo remoto che incarna un desiderio di fuga più fantasticato che concretamente pianificato.

C’è poi il paradosso tragicomico di “CTRL-Z” (“Vivere un giorno solo come le falene, vivere un giorno solo e quel giorno lavorare”) e il grido d'impotenza di “Sonno contro”: la notte dovrebbe essere il momento in cui si sogna o si vive più intensamente, invece qui c’è come un'immobilità, un rammarico per non aver sfruttato le occasioni. (“Io sono quel che sento e non mi sento in vena di te, io sono quel che sento e non mi sento bene”). 

Molto bella anche “Elastici”, che ha un arrangiamento vivace e una struttura interessante, per il modo in cui avviene il passaggio da strofa a ritornello. 

E in conclusione, “Sei di chi”, ballata di stampo tastieristico, un po’ più impegnativa e meno in linea col resto del lavoro, che pare fare i conti con l'esigenza di essere amati e stimati per quello che si è, senza etichette o stereotipi di sorta. 

C’è ancora da lavorare per raggiungere un livello di autentica eccellenza ma direi che per il momento Maru ha diverse ragioni per essere apprezzata. 


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