Il nome di Emma Nolde girava da un po’, tra la partecipazione al Rock Contest 2019, dove ha vinto il premio Ernesto De Pascale per il miglior testo in italiano e l'apparizione al Mi Ami TVB, uno dei luoghi privilegiati per osservare da vicino le nuove promesse, le capacità di questa ragazza hanno avuto diverse occasioni per essere messe in luce.
Ora è uscito il suo disco d'esordio e la collaborazione tra Woodworm e Universal costituisce già un indicatore significativo del fatto che in queste canzoni potrebbe esserci qualcosa di realmente buono.
Otto brani appena ma un processo di lavorazione lungo, frutto (quasi) di una vita intera, considerando la giovane età della ragazza. Un disco a tutto tondo che ha forse, difetto tipico di molti esordi, la frenesia di voler inserire quanti più elementi possibili, l’ansia di mostrare tutte le influenze, di esplorare una molteplicità di mondi sonori, col pericolo di apparire un po’ confusionaria e priva di una chiara direzione.
È così ma ci sono anche molti pregi e i pregi, in questo caso, sono più dei difetti. In primo luogo il lavoro di arrangiamento e produzione, affidato agli amici e collaboratori di sempre Renato D’Amico e Andrea Pachetti: è merito loro se il suono è così potente e i ritmi incalzanti, con soluzioni spesso fuori dagli schemi nel combinare basso e batteria, a predisporre un incrocio tra la dimensione rock e quella Urban che suona molto meglio di quel che potrebbe apparire sulla carta. Lo si vede in particolare su brani come “S-fiorare”, “Resta” e “Berlino”, che sono anche gli episodi più potenti, con quest’ultima che incorpora anche porzioni di clubbing, con un utilizzo più spregiudicato dell'elettronica.
C’è, in tutto questo, ed è il secondo punto a favore, una scrittura sorprendentemente matura e già parecchio consapevole, ancora più sorprendente se pensiamo che Emma ha vent’anni e che queste canzoni le ha scritte ancora prima. Prendete il singolo “Nero ardesia”, sviluppo in crescendo della strofa, ritornello esplosivo con melodia vocale magnifica, un testo che suona un po’ come un manifesto generazionale, tra il desiderio di fuga da sabati sera buttati e la consapevolezza che, comunque vada, ci si ritroverà sempre il giorno dopo a compiere gli stessi errori.
Ma basterebbe la sola “Sorrisi viola”, presentata in un arrangiamento scarno per voce e chitarra, che è uno di quei pezzi che strappano la pelle di dosso, andamento lineare ma interpretazione da brividi, una canzone d’amore che è anche un mettersi a nudo, un non vergognarsi di fare delle proprie debolezze un elemento di personalità.
E qui arriviamo al terzo punto di forza, cioè un timbro e una vocalità assolutamente fuori dal comune, bassa e profonda ma dotata di un'estensione notevole, che viene tirata fuori all'occorrenza, senza troppo esagerare.
C’è qualche piccola concessione al Pop più mainstream, con “Ughi”, dedicata alla nonna, che è una ballata piuttosto tradizionale, dagli echi “sanremesi” ma che pur non amalgamandosi del tutto al resto del repertorio, funziona bene, senza essere eccessivamente sdolcinata.
Il brano finale, che è anche la title track, sorprende per la strofa in spoken word e per un ritornello che cita esplicitamente il Bon Iver della fase “elettronica”, andando peraltro a complicare ulteriormente il quadro delle influenze, che con l’aggiunta di arpeggi in stile Daughter sparsi qua e là in un paio di episodi che andrebbero in tutt'altra direzione (“Resta” e “S-fiorare”), certifica l’importanza anche dalle nostre parti di artisti dell’ultima generazione che hanno radicalmente modificato il panorama musicale internazionale.
Probabilmente il prossimo passo della ragazza toscana sarà quello di restringere il proprio raggio d'azione e decidere meglio quali territori percorrere. Anche così, comunque, “Toccaterra” è un esordio entusiasmante, che già certifica Emma Nolde tra le artiste più interessanti che ci siano al momento nel nostro paese. Aggiungo che dal vivo è bravissima, se avete occasione non perdetevela.