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RE-LOUDDSTORIE DI ROCK
16/01/2018
Dolores O'Riordan (6 settembre 1971 – 15 gennaio 2018)
To The Faithful Departed
La piccola Dolores ha avuto il merito, tra alti e bassi, di condurre per mano la musica irlandese da un estremo all’altro degli anni ’90. Non ha cambiato la storia, ma ci ha lasciato un suono e uno stile inimitabili

La prima volta che vidi i Cranberries dal vivo, fu a Milano, nel 1996, durante il tour promozionale di To The Faithful Departed. Ricordo un bellissimo concerto e, soprattutto, ricordo Dolores O’Riordan, furetto indemoniato che, senza lesinare sudore, saltava da una parte all’altra del palco, come rapita da un trasporto quasi dionisiaco.

Mi domandai come facesse una ragazza così minuta, che già allora sapevamo non godere di ottima salute, a trovare quella travolgente energia e a catalizzare, come un prisma emozionale, tutti gli sguardi del pubblico. Un carisma, il suo, che Dolores non perse mai, anche se dovette fare i conti con fantasmi più grandi di lei, che le minarono progressivamente il fisico e la mente.

Gli abusi sessuali subiti durante l’adolescenza da parte di un amico paterno, lasciarono ferite mai completamente rimarginate, tanto da spingerla anche verso il baratro del suicidio. Depressione, anoressia, disturbi psico-somatici e dipendenze dalle droghe furono battaglie che costellarono la sua esistenza e che la cantante, però, ebbe sempre il coraggio di combattere attraverso il potere lenitivo della musica.  Nel suo curriculum, a capo dei Cranberries, due album memorabili (Everybody Else Is Doing It, So Why Can’t We? del 1993, e No Need To Argue, pubblicato l’anno successivo) che segnarono profondamente il suono pop rock degli anni ’90, il primo, col suo caleidoscopio di colori che evocavano la terra d’Irlanda (di nuovo ombelico musicale del mondo, dopo l’epopea U2) , il secondo, più maturo, costruito intorno a un pugno di canzoni (Zombie, Ode To My Family, Ridicolous Thoughts), che diedero alla band di Limerick il meritato successo internazionale.

Quei vertici non furono mai più raggiunti, e la musica dei Cranberries (di cui Dolores era la principale artefice) virò progressivamente verso un suono più radiofonico ed esplicito. Uscirono, quindi, altri dischi che, pur essendo qualitativamente meno centrati, furono egualmente punteggiati da grandi canzoni, capaci di primeggiare nelle charts di mezzo mondo e di rinsaldare, nell’immaginario collettivo, l’idea di Dolores come autentica icona del rock al femminile del decennio.

Arrivarono anche i tempi bui, lo iato di dieci anni (dal 2002 al 2012), il tentativo poco convinto della O’Riordan di intraprendere una carriera solista, che però non decollò mai (Are You Listening? del 2007 e No Baggage del 2009), il ritorno della band sulle scene con Roses (2012), disco mediocre seppur dagli ottimi riscontri commerciali, e un ultimo capitolo, Something Else, pubblicato lo scorso anno, grigio tentativo di rinverdire in chiave acustica i fasti dei giorni di gloria. Nonostante una carriera altalenante, il ricordo di Dolores O’Riordan vive e vivrà nelle sue canzoni, capaci di evocare con i profumi di Irlanda (Linger), di graffiare con cupa rabbia (Salvation), di fissare lo sguardo sull’attualità (Bosnia), di sedurre con dolcezza (Just My Immagination), di arrivare al cuore di un pubblico trasversale, fondendo melodia e spirito alternative (Animal Instinct).

Di lei, però, ci ricorderemo anche per la bellezza, un misto di nordica delicatezza e seducente aggressività, per quegli occhi ondivaghi fra sfrontatezza e malinconia, e per quello stile di canto singhiozzante, con cui plasmava in modo unico una voce potente e ricca di sfumature. Donna e rocker, fragile e combattiva, dolce e grintosa, la piccola Dolores ha avuto il merito, tra alti e bassi, di condurre per mano la musica irlandese da un estremo all’altro degli anni ’90. Non ha cambiato la storia, ma ci ha lasciato un suono e uno stile inimitabili. Ci mancherà, come ci mancano tutte le cose buone che ci ricordano la giovinezza.