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REVIEWSLE RECENSIONI
30/05/2024
Shoreline
To Figure Out
Delicati, incoraggianti, emotivi e nostalgici. Gli Shoreline, con il loro “To Figure Out”, accompagnano l’ascoltatore in un viaggio fatto di autoconsapevolezza e grazia, dove tra testi non scontati e chitarre si affrontano insieme un bel ventaglio di sentimenti possibili, con freschezza, semplicità e la garanzia di un lieto fine.

 “You can be desperate and hopeful at the same time

You don’t need to have an immediate solution

You have to figure it out

You will figure it out

 

Puoi essere disperato e fiducioso allo stesso tempo

Non hai bisogno di avere una soluzione immediata

Hai solo bisogno di capirlo

Lo capirai

 

Con queste parole, che sono dedica, incoraggiamento e carezza al tempo stesso, inizia il disco degli Shoreline. Una poesia nascosta all’interno dell’artwork dell’album che esplicita ed estende il significato del titolo, To Figure Out: il processo della comprensione, della presa di coscienza e della decisione. Questo il concept del nuovo lavoro della band tedesca, che racconta attraverso la voce e le esperienze di Seung, cantante del gruppo, il percorso dell’autoconsapevolezza su vari fronti: personali, sociali e politici.

Una raccolta di canzoni che narrano anzitutto del viaggio di Seung stesso per recuperare la sua eredità culturale coreano-tedesca, ma anche la rabbia verso scelte politiche che impattano sull’attuale cambiamento climatico e storie di amori e amicizie che, come sempre accade, affastellano le vite di chi in fondo cerca solo di sopravvivere al mondo in cui si trova ad esistere.

 

To Figure Out è un vortice di stimoli e accadimenti raccontato con semplicità e gusto, dove tutto prende le sembianze di un piccolo mucchio di polaroid: quel tipo di istantanee fotografiche fatte per essere guardate e godute insieme sul momento, o recuperate da un cassetto, scatola o bacheca, grazie alle quali riassaporare un sentimento da rendere per un attimo di nuovo vivo.

Il compendio di canzoni degli Shoreline accompagna così chi lo ascolta ad abbracciare i propri sentimenti e ricordi in un processo di autoconsapevolezza che musicalmente si muove in territorio punk, ma senza il timore di virare verso l’emo, l’indie o l’alternative a seconda del momento, per raggiungere anche dei brevi momenti hardcore o funky. Una musicalità caratterizzata da chitarre brillanti e dai tocchi inconsueti, che hanno la capacità di rendere non banali dinamiche che altrimenti rischiano di essere derivative. Un gusto che conserva una sorta di naturale grazia, ma che non per questo rifiuta di essere deciso o netto dove serve, permettendo alle tracce di risultare semplici e varie e riuscendo a rendere l’album nel suo complesso fresco e piacevole anche dopo numerosi riascolti.

 

Un suono, quello di To Figure Out, che per l’occasione è stato supervisionato dalla produzione di Chris Teti (Anxious, Fiddlehead, The World is A Beautiful Place And I Am No Longer Afraid To Die, ecc.) presso i Silverbullet Studios di Burlington, in Connecticut, portando così un bel po' d’America nei toni e nelle dinamiche della band tedesca.

Gli Shoreline, infatti, sono di certo ben radicati nella scena hardcore/punk DIY locale e nazionale, ma non sono da meno anche in quella internazionale, tanto da guadagnarsi un’ottima reputazione sia in sede live sia nei confronti delle altre band della scena; nel giro di poco tempo si sono difatti ritrovati ad aprire per gruppi come Basement, Silverstein, Spanish Love Songs o Hot Water Music.

In una di queste molteplici occasioni, la band ha sviluppato una bella amicizia con Chris Cresswell (The Flatliners, Hot Water Music), il quale ha partecipato anche ad uno dei singoli dell’album, “Workaround”. Nella canzone, il tema del cambiamento si declina in ambito amicale, descrivendo il processo lento ma definitivo del vedere i propri coetanei invecchiare, diventare genitori e stabilirsi in una fase diversa della vita. Il brano, però, non è nostalgico o accusatorio, quanto piuttosto un incoraggiamento a trovare fiducia nelle proprie scelte di vita, comprendendo che ogni persona ha un approccio diverso alla felicità.

 

Il tema della felicità e della soddisfazione personale e professionale, con tutte le sue insidie, è affrontato anche in “Darius”, il pezzo più hardcore dell’album, che porta con sé una riflessione su cosa significhi essere una band "professionale" e su come il rapporto tra l'artista e la sua arte stia cambiando nel tempo. Per il gruppo, la canzone è divenuta una sorta di promemoria sull’importanza di dare valore alle esperienze che possono condividere come band e sull’apprezzare ogni giorno ciò che gli è stato permesso di fare. Con il tempo, infatti, il rischio è di iniziare a paragonarsi ad altri gruppi, pensare troppo ai numeri di vendita e dimenticarsi quindi di godere quanto si è privilegiati e fortunati nell’essere arrivati dove si è: con un contratto per un’etichetta prestigiosa come la Pure Noise e la possibilità di suonare sullo stesso palco di band incredibili.

«Riesci ancora a goderti l'arte che hai creato o ti ricorda la paura di essere mediocre?». Ecco, gli Shoreline sono quel tipo di band che ti fa vivere in una sola canzone più sentimenti insieme: l’incertezza, l’emotività, la rabbia e la rassicurazione.

 

Il tema dei processi di cambiamento raggiunge il suo culmine nell’affrontare il rapporto con le proprie origini, uno dei temi più sentiti per Seung, che aveva iniziato già nel disco precedente a raccontare il suo percorso di autoconsapevolezza e di emancipazione come asiatico-tedesco, avvicinando in questo modo un numero sempre maggiore di BIPOC (Black, Indigenous, & People of Color Movement) alla musica e agli spettacoli della band.

In To Figure Out Seung ne parla in “Seul”, uno dei singoli di punta, dove il recupero dell’eredità coreana si unisce alle insicurezze di un giovane adulto cresciuto nella profonda e rurale Baviera, in Germania. Un brano che esplicita in maniera chiara il sentimento di molte seconde generazioni, spesso native europee, ma che si trovano sulla pelle una storia differente e aggiuntiva a quella del luogo che è la loro casa: l’incertezza e il grande lavoro su di sé per governare quel puzzle di identità e per concedersi il diritto di essere chi si è con orgoglio sereno.

«Mi fa star male, il fatto di essermi sempre sentito così insicuro del colore della mia pelle. Amico, diventava così marrone nell'estate del sud. Riesci a immaginare com’è cercare di liberarsi dal desiderio di essere qualcun altro? […] Ho finto. Ho cercato di imitarli. Solo un'esagerata, tragica copia di un bambino bianco. Come posso essere un bambino bianco? Che strano modo di pensare. Devi bruciarlo. Troverò la mia pace dove non è permessa. E so che è molto ed è pesante sulle tue spalle, anch'io mi sento così. Abbiamo entrambi trascorso la nostra giovinezza in modo confuso. Ti renderai conto di come è cambiato: è un potere, non una debolezza. Dovresti riprendertelo, rivendicarlo e riutilizzarlo. Riuscire a capire come sbarazzarsi del desiderio di essere qualcun altro».

 

Gli Shoreline hanno brani per ogni occasione: un velo di nostalgia e familiarità che si declina in momenti orecchiabili, potenti, ispirati, aggressivi o felici, ognuno con la propria identità semplice, omogenea ma distintiva: perfetti per una corsa in macchina cantando o per una passeggiata meditativa, dove si viene accompagnati come da una sorta di “fratelloni” che stimolano, emozionano e tranquillizzano allo stesso tempo.

Il meglio si raggiunge con la sezione centrale dell’album, dove “Health”, “Reviver”, “Green Paint” e “Yuppie Kids” si prendono la medaglia di canzoni più riuscite assieme alla successiva “Don’t Feed”, ma nel complesso i 38 minuti di To Figure Out scorrono agili, garantendo all’ascoltatore che, alla fine dell’avventura emotiva, troverà sempre una sensazione di speranza e l'idea che alla fine tutto andrà bene.

In fondo ce l’hanno detto sin dall’inizio: qualsiasi cosa tu stia affrontando o provando, la capirai e la risolverai. Nel frattempo, loro sono lì, a tenerti la mano.