«La Fotografia non rimemora il passato (in una fotografia non c'è nulla di proustiano). L'effetto che essa produce su di me non è quello di restituire ciò che è abolito (dal tempo, dalla distanza), ma di attestare ciò che ciò che vedo è effettivamente stato. Ora questo è un effetto propriamente scandaloso. Sempre la Fotografia mi stupisce, ed è uno stupore che dura e si rinnova, inesauribilmente. Forse questo stupore, questa caparbietà, affonda le sue radici nella sostanza religiosa di cui sono imbevuto; niente da fare: la fotografia ha qualcosa che vedere con la resurrezione».
(Roland Barthes, La camera chiara. Nota sulla fotografia)
«Io non ho mani / che mi accarezzino il volto / (duro è l’ufficio / di queste parole / che non conoscono amori) / non so le dolcezze / dei vostri abbandoni: / ho dovuto essere / custode / della vostra solitudine: / sono / salvatore / di ore perdute».
(David Maria Turoldo, Io non ho mani che mi accarezzino il volto)
Mi scuserete le citazioni iniziali a prima vista ultronee, ma mi sono parse assolutamente motivate dalla peculiare produzione discografica oggetto della presente recensione.
Il disco dei Tipografia Sonora, ovvero il moniker dietro quale si cela il trio Duscio, Francesconi, Savoretti è difatti ispirato, sin dalla bellissima copertina dell'album, dall'opera fotografica di Mario Giacomelli.
Di questo fotografo tutti noi, pur non conoscendo l'autore, abbiamo in mente alcuni celeberrimi scatti: ovvero quelli che vedono ritratti dei giovani seminaristi impegnati tra di loro in un girotondo sotto la neve.
Queste fotografie fanno parte di una raccolta conosciuta sotto il nome di Pretini, anche se il fotografo gli diede anche un altro titolo, tratto appunto dalla prima collezione poetica di David Maria Turoldo, Io non ho mani che mi accarezzino il volto (da qui la sentita opportunità di riprodurre la poesia in oggetto).
Il trio marchigiano ha deciso di unire le proprie forze al fine di sonorizzare alcune delle fotografie scattate dal fotografo di Senigallia Mario Giacomelli che, come racconta Michele Duscio nell'intervista che segue la presente recensione, era anche (e per lo stesso Giacomelli soprattutto) uno dei proprietari della Tipografia Marchigiana, sita proprio di fianco alla bottega del nonno calzolaio dello stesso Michele, da qui il moniker Tipografia Sonora adottato dai tre musicisti.
Ma le affinità elettive del gruppo musicale con l'opera del fotografo non sono delimitate semplicemente dalla prossimità territoriale, ma da un comune sentire: una delle peculiarità nelle produzioni fotografiche di Giacomelli era difatti quella dell'utilizzo di plurime esposizioni e sovrapposizioni delle immagini dallo stesso scattate; tecnica che, da questo punto di vista, presenta una notevole assonanza con la stratificazione di suoni elettronici e acustici marchio di fabbrica della band marchigiana.
Sin dall'iniziale "Rami Spogli" si svela la poetica musicale dei tre musicisti, ovvero lo sviluppo di accordi pianistici che galleggiano su sottofondi sintetici e digitali prodotti dai synth.
La successiva "Interiorità", basata su un campionamento della voce dello stesso Giacomelli, introduce nell'economia del disco una delle ulteriori caratteristiche del trio, ovvero un utilizzo molto particolare delle percussioni acustiche (e non) che vengono, alla pari degli altri suoni, riprocessate digitalmente.
In "Grano", penultimo brano del primo lato dell’album, invece emerge, con maggiore ampiezza, il background jazzistico di Savoretti e Francesconi, che viene ripreso nel successivo "Solchi" e "Cicale".
Con la voce in loop del fotografo si dà inizio, con "Spazio, tempo, luce", al secondo lato dell’album, dove le atmosfere jazz si colorano di tinte elettroniche con un discreto bpm che dona il senso di mobilità delle stesse parole oggetto del titolo.
Dopo le figurazioni ritmiche di "Ombre e Clangori", il continuum sonoro in crescendo viene rappresentato da "Contrasto", in cui il dialogo serrato tra il piano e le percussioni matericamente distorte crea un effetto appunto di contrasto che richiama l’amato bianco e nero di Giacomelli.
Il disco, infine, si conclude con "Viale Alberato" che, smorzando i ritmi precedenti, ci permette di immaginare una camminata cadenzata che richiama i giochi fuggevoli tra squarci di luce e tonalità umbratili che raggiungono l’acme nella improvvisazione finale con cui si chiude il percorso sonoro dell’opera.
Penso che la migliore conclusione della presente recensione, prima di lasciare la parola ai diretti interessati nell’intervista in calce, sia quella di cedere la parola al medesimo Giacomelli (di cui Tipografia Sonora ha realizzato una sonorizzazione per la mostra La Camera Oscura di Giacomelli al momento allestita a Senigallia, ma con successive tappe sia a Roma che a Milano):
«Trovi la speranza dove c’è il dolore e quella che par gioia lascia la bocca amara. Forse la vita vera è là, dove il dolore di ognuno è tanto grande grande che non basta la vita del mondo a viverlo tutto».
***
Ciao, innanzitutto, vi chiederei di presentarvi brevemente, indicare il vostro retroterra artistico e illustrare ai nostri lettori da dove nasce l’idea di Tipografia Sonora.
Ciao Stefano, sì. In ordine. Michele Duscio è un produttore di vecchia data che ha iniziato nella scena seminale indie marchigiana per poi addentrarsi nel mondo dell’elettronica sotto varie sfaccettature, nel progetto Bootshape, con le voci di Mozez (Zero7 e Miss Baby sol) per poi diventare produttore di vari artisti della scena new disco, uno su tutti Verdo, senza mai trascurare la sperimentazione come nell’album Electricults di Andy Morello & Duscio.
Francesco Savoretti viene dal mondo della world music e della ricerca, attualmente attivo su più fronti con progetti di portata internazionale quale l’Elastic trio di Riccardo Tesi, il trio con il trombettista Markus Stockhausen e Fabio Mina, il duo UPWELLING con l’oudista Peppe Frana. Ha all’attivo più di 30 registrazioni discografiche e si esibisce in oltre 40 paesi in tutto il mondo. Ha condiviso il palco con artisti nazionali ed internazionali quali: Ross Daly, Markus Stockhausen, kelly Thoma, Claus Bose Ferrari, Vinicio Capossela, Moni Ovadia, Ginevra di Marco, MICROLOGUS, Davide Riondino, Erri De Luca, Roy Paci, Marco Ambrosini.
Leonardo Francesconi si è diplomato in piano classico e poi si è orientato verso l'improvvisazione e il jazz; fa parte di vari gruppi e ad oggi ha inciso due album con The Pier Jazz e tre autoproduzioni pubblicate a proprio nome su Bandcamp.
Duscio è stato l’elemento che ha fatto da collante nella formazione del trio: oltre ad aver seguito la nascita del progetto di Francesco Savoretti con Fabio Mina, si occupava già della parte elettronica del setup di Savoretti col quale ha musicato un'opera teatrale e realizzato una colonna sonora per All eyes on the Amazon. Al tempo stesso Duscio suonava in duo con Francesconi nei vari locali del sottobosco musicale Marchigiano appunto. L’idea nasce dalla voglia di parlare del nostro territorio e per questo uno degli artisti che meglio lo ha descritto è Mario Giacomelli, con la poetica fotografica dei suoi paesaggi.
Il disco è una sorta di omaggio ad un grande fotografo italiano quale è stato Mario Giacomelli. Penso che tutti (come indicato in sede di recensione) abbiano visto una delle foto della serie Pretini, ovvero Io non ho mani che mi accarezzino il volto, ma, come altri grandi fotografi, penso ad esempio al modenese Franco Fontana, non sia riconoscibile come autore al pubblico. Avete peraltro curato una sonorizzazione all’interno della mostra La Camera oscura di Giacomelli. Cosa vi lega a Giacomelli e al suo lavoro?
Sono in programma due mostre diverse e complementari che celebrano il centenario della nascita di questo grande della fotografia del XX secolo: a Palazzo Esposizioni (Roma) il 19 maggio e a Palazzo Reale (Milano) il 21 maggio. All'interno di entrambe le mostre ci saranno sale immersive delle immagini di Giacomelli accompagnate dalla voce di Giacomelli e dalla nostra musica.
Il territorio, le nostre campagne, i nostri paesaggi e la voglia di raccontarlo in musica è quello che lega tutti i componenti della formazione a Giacomelli, che ha trascorso molto tempo a fotografare le colline e i campi arati caratteristici del paesaggio Marchigiano; c’è inoltre il legame personale del ricordo d’infanzia di Michele Duscio, originario di Senigallia, il cui nonno Salvatore aveva una bottega da calzolaio a pochi metri dalla “Tipografia Marchigiana” di Mario Giacomelli (l’“antro dello sciamano”, la camera oscura) dove si recava per comprare blocchetti e altri materiali di consumo.
L’ascolto del vostro disco penso possa smentire quello che è un vero e proprio luogo comune per il quale comporre musica elettronica risulta in sé per sé banale, non servendo alcuna preparazione musicale se non “basica”: basta mettere in loop una sequenza musicale e poi far lavorare il setting machine. Ascoltando la vostra musica, al di là dell’interazione con strumenti classici, risulta manifesto una ricerca mirata a una dettagliata stratificazione di suoni e una ricerca anche sul drumming che sostiene i brani, vi trovate con questa descrizione?
La stratificazione è un concetto su cui abbiamo lavorato, anche cercando di ricalcare la tecnica fotografica che utilizzava il fotografo senigalliese che rielaborava le fotografie decine di volte. Così siamo partiti da bozze di linee di piano, quasi delle figure che ricordano i pendii delle colline ed i saliscendi, per poi registrare, una prima stesura di percussioni tramite loopstation ed effetti.
Da questa base è partito un vero e proprio momento di rielaborazione sonora e sono state create delle stesure, filtrando suoni e saturandoli con una serie di sovraincisioni. Infine, siamo arrivati a una struttura più definita, su cui i musicisti hanno nuovamente suonato in acustico, prima di essere rielaborati ancora una volta per arrivare al risultato finale. Ci teniamo anche a dire che in un modo elettronico, dove il timing spesso è troppo perfetto, abbiamo preferito lasciare anche delle sbavature, per dare più risalto all'espressività del momento.
L’ultima domanda che mi sorge spontanea, sempre dall’utilizzo peculiare della stratificazione sonora che permea il vostro disco, è se potete indicarmi quale tipo di strumentazione di studio utilizzate, e infine, come avete in mente di presentare dal vivo il vostro lavoro.
La produzione è stata registrata e prodotta con Ableton Live, abbiamo utilizzato le percussioni acustiche (tamburi a cornice, tamburelli, campane, campanelli), percussioni digitali (Nord Drum), loopstation (Roland RC 505) ed effetti di Francesco, il piano digitale di Leonardo (su cui precedentemente avevamo fatto ricerca per ottenere un suono più particolare e adatto al progetto) registrato in multitraccia e con effetti Eventide a modificarne ulteriormente la timbrica, e la strumentazione analogica e digitale fornita dallo studio di Michele (Drum Machines, sintetizzatori monofonici e polifonici, Moog e Roland), oltre che delay a nastro e filtri analogici.
Abbiamo intenzione proporre il progetto anche live, nella forma di un concerto ibrido che resti fedele al disco ma che includa anche una componente improvvisata di matrice jazz, all’interno della quale i suoni dei musicisti verranno manipolati e trasformati in tempo reale.