Cass McCombs riesce sempre a metterti in difficoltà, sia quando fa il disco che non ti aspetti, sia quando esce con il disco che ti aspetti, che poi, dopo pochi ascolti, ti rendi conto che è di gran lunga migliore anche di ogni più rosea aspettativa. Comunque sia, è proprio quando pensi di averlo inquadrato, che McCombs scarta dal seminato, lasciandoti completamente spiazzato. E in definitiva, è proprio questo senso di sorpresa che rende la sua musica così incredibilmente interessante.
All'ascolto iniziale, Tip Of The Sphere potrebbe suonare come il logico successore di Mangy Love (2016), il disco della maturità, o quella che potremmo definire la vetta della sua discografia. Eppure, le differenze rispetto a quel lussureggiante capolavoro, si sentono, eccome.
Tip Of The Sphere, a differenza degli altri lavori, infatti, ha avuto una genesi breve e una lavorazione molto rapida presso il Figure 8 Studio di Brooklyn; circostanza, questa, non di poco conto, perché il disco possiede un’inusuale immediatezza. Che non risiede certo nella durata delle canzoni (quasi tutte oltre i quattro minuti), ma quanto nel fluire del suono, nella scioltezza di certi arrangiamenti, nella spontaneità con cui nascono alcune derive sperimentali, fluttuanti, morbide, mai forzate.
Un aspetto immediatamente evidente nell’iniziale I Followed the River South to What, sette minuti di musica liquida e rigogliosa, che si srotola su un ripetuto arpeggio di chitarra, sorretto da un drumming sottilmente urgente e da una vaporosa linea di basso (ottimo lavoro di Dan Horne), mentre la voce di Cass forza la serratura delle emozioni, con il consueto cantato impressionistico e quei testi enigmatici, peculiari alla sua scrittura (Il potere corrompe! Sto costruendo una torre di cannella).
Se il pop rock esuberante di The Great Pixley Train Robbery è uno dei momenti più accessibili e orecchiabili del disco, Estrella si abbandona languidissima sul tessuto damascato di un blu notte intenso ed evocativo, Absentee evapora in volute quasi prog, mentre Sidewalk Bop After Suicide, passo lento e scorbutico interplay fra chitarra elettrica e sintetizzatori, apre scenari decisamente inquietanti (“Ho sanguinato, vomitato e pianto qui / E ho sognato di essere morto”).
La pedal steel avvolge di echi country le atmosfere amniotiche di Prayer For Another Day, in cui la voce di McCombs galleggia letteralmente su un ordito di chitarra acustica, mentre American Canyon Sutre getta lo sguardo sulla situazione politica degli States attraverso una lente scura e un ferale tocco di elettronica. Chiudono il disco Tying Up Loose Ends, con echi dal Van Morrison più sperimentale, e la lunga Rounder, dieci minuti di country rock che lentamente si eccita in un groove jammistico per pianoforte elettrico, pedal steeel e chitarra.
Un’ora scarsa, tanta è la durata del disco, in cui suono, arrangiamenti e produzione sono pressoché perfetti, e in cui Cass McCombs si abbandona nuovamente a quella libertà creativa che lo rende una delle figura più complesse, insolite ed enigmatiche, ma anche incredibilmente affascinanti, del panorama alternativo a stelle e strisce.