Le migliori idee nascono spesso nei momenti e nei luoghi più impensati. Quella dei Frankley Everlong nasce nel 2009, grazie ad un viaggio in bus a Karlskrona. Tommy Carlsson (voce, chitarra e tastiere), un ragazzo svedese che lavora come insegnante di musica alle superiori, convinto che "Frankley Everlong" fosse un nome molto figo per una punk band, scrive subito un messaggio a Stirre (ex-bassista), chiedendogli se volesse unirsi a lui nel suo nuovo gruppo. A sua volta Stirre trova loro un batterista, Olof Måhlgren, un magazziniere pieno di piercing che viene assoldato già dalla prima jam session con il gruppo, in cui i ragazzi provano le prime canzoni scritte da Tommy sotto l’influenza dei Misfits.
Seguono i primi piccoli tour nel sud-est della Svezia, il primo demo (Rocka Dudle Evening), le prime canzoni in alcune compilation punk e il primo album, Songs for the Broken, pubblicato nel 2014, dopo il quale il bassista lascia la band e viene subito sostituito da Nicklas Petersson, un amico che lavora in una segheria vicino Kalmar, la loro città.
Nel frattempo, però, scrivere canzoni entro la norma del punk-rock o del pop-punk (come è stato per il primo disco) non basta più e non riesce a definirli completamente. Tommy sente che il suo amore per la musica è più ampio e inizia a inserire nel sound della band sempre più tastiere, con l’obiettivo di prendere elementi da diversi generi musicali, mixarli un po’ e creare qualcosa di nuovo: non canzoni composte da tre generi uno a fianco all’altro, ma un suono che risulti unitario e che costituisca una formula unica.
Il lavoro ha richiesto diversi anni di perfezionamento, in cui il trio ha cercato il più possibile di non prendere ispirazione da altre band, ma di concentrarsi sui diversi tipi di suoni che volevano incorporare, per poi riuscire ad incanalarli entro la loro musica.
Il risultato è tutto sintetizzato in Till the Dance Till Us Part: 9 tracce per 39 minuti di un suono disco-punk energetico, divertente, che cattura l’attenzione dell’ascoltatore e lo accompagna dalla prima all’ultima nota, tra sfumature pop-punk, disco, synth heavy new wave. L’album è pieno di beat che fanno venire voglia di ballare ("Till The Dance Do Us Part", "Pushed Around by You"), ma anche di note più emozionali (“September”), senza dimenticare i riff di chitarra dei trascorsi più propriamente punk-rock e pop-punk (“A Sense of Hell-Being”), che spesso virano in sinergia con gli amati synth (“Animatronic”, “As You Wither”).
Un mix personale e sincero, che segue le passioni di questi tre ragazzi e punta semplicemente a continuare la sua evoluzione, seguendo l’amore per la musica e la voglia di continuare a suonare insieme di questi punk boys. Sì, punk, perché a chi dice loro che utilizzando le tastiere anni ‘70 non sono più una punk band rispondono che a loro non importa proprio un bel niente: in fondo, se togli i synth, non sono altro che canzoni punk, ma soprattutto, giustamente, ricordano che è molto più punk fare quello che si vuole che seguire delle regole. Come dargli torto?