Onnivoro di letture da sempre, fin da piccolo alternavo, con crescente e famelica passione, i grandi romanzi di Emilio Salgari e James Fenimore Cooper alla più modesta letteratura fumettara di Tex e Zagor. Due mondi diversi, certo; eppure, fatte quelle debite proporzioni, che risultano più precise solo in età adulta, sono consapevole che alcuni fumetti abbiano inciso sulla mia crescita di uomo, tanto quanto imprescindibili libri di formazione. In virtù, credo, di quella retorica un po’ tranchant dei buoni sentimenti, che quando sei grande scassa i maroni, ma da ragazzino solidifica non poco il tuo acerbo impianto etico. Onnivoro, dicevo, sia di fumetti spensierati come Topolino, sia di quelli d'azione del grande Bonelli, come il già citato Tex, sia di quelli dal taglio più marcatamente comico e grottesco, come Alan Ford dell’inarrivabile Magnus, o il semisconosciuto Johnny Logan.
Se però dovessi scegliere un fumetto da salvare da una catastrofe nucleare, allora sceglierei Ken Parker, alias Lungo Fucile. Nato editorialmente nel 1977 dalla fantasia di Giancarlo Berardi (testi) e Ivo Milazzo (disegni), il volto raffigurato a immagine e somiglianza del Robert Redford di "Corvo Rosso Non Avrai il Mio Scalpo" (capolavoro a firma di Sidney Pollack, datato 1972), Ken Parker è un eroe (rectius: antieroe) inconsueto, psicologicamente complesso, lontano anni luce dalla ruvida virilità di personaggi come Tex e Zagor.
Antimilitarista, alfiere dei diritti umani, paladino delle cause perse, protettore delle minoranze, Parker abbatte tutti gli stereotipi del genere, dando vita a un personaggio certamente positivo, ma assolutamente scevro da quel manicheismo morale sul quale erano forgiati tanti altri protagonisti dei fumetti dell’epoca. E’ proprio questo il tratto distintivo che pone Lungo Fucile sul gradino più alto del podio: quel realistico complesso di contraddizioni da cui nascono un'intrinseca fragilità, la capacità di giudicare oltre le apparenze, di porsi costantemente il dubbio, di ammettere le proprie debolezze, di affrontare le avventure con un coraggio mai stolido, ma derivante semmai da un istintivo senso per la giustizia.
Utopista, anticonformista e sognatore tormentato, Parker si muove in un far-west i cui connotati, estremamente realistici, si ispirano apertamente alla letteratura e al cinema, con cui il fumetto nazional-popolare, forse per la prima volta in modo compiuto, entra in completa simbiosi emozionale. Un western, però, che attinge anche dalla Storia, quella con la S maiuscola, creando una corale che non solo disegna i tratti dell'epopea, ma che, superando l'ormai stazzonata dicotomia fra buoni e cattivi, fra bene e male, indaga nelle pieghe più profonde dell'animo umano, attraverso le molteplici sfumature psicologiche dei suoi protagonisti.
La prima serie di Ken Parker si concluse al 59° episodio nel 1984, e venne poi ripresa, a metà degli anni '90, con un nuovo formato e il nuovo titolo di "Ken Parker Magazine". Tra tutte le collezioni, forse troppe, che conservo in cantina, gli albi del buon Ken hanno un posto privilegiato, sia per la posizione che per le cure che periodicamente ricevono. Talvolta, mi capita ancora di sfogliare qualche episodio e di fare un bel viaggio a ritroso nel tempo, tra fanciullesche emozioni e ricordi. E poi, lo confesso: come da ragazzino, provo ancora un lungo brivido percorrermi per la schiena nel rileggere quelle parole d'addio, che talvolta chiosavano gli albi e che contenevano non solo un saluto, ma un implicito ringraziamento al trapper dai capelli biondi. So Long, Lungo Fucile. So Long.