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REVIEWSLE RECENSIONI
19/09/2019
Sheryl Crow
Threads
L’ultimo disco in studio di Sheryl Crow è una discreta raccolta di duetti con ospiti illustri, composta da alcuni brani prescindibili e altri di livello altissimo.

Mai come in questo caso è doveroso partire da una notizia che solo in parte ha a che vedere con la recensione di quest’album. Threads, stando alle dichiarazioni di Sheryl Crow che ne hanno anticipato l’uscita, sembrerebbe, infatti, essere l’ultimo disco in studio della songwriter del Missouri. La musica è cambiata, nessuno più ascolta un disco per intero, tutti si fanno playlist, e allora che senso ha pubblicare full lenght che ormai hanno perso ogni fascino e attrattiva? Questo in sostanza il pensiero della Crow, che alle soglie dei sessant’anni ha deciso di tirare i remi in barca, almeno per quanto riguarda questo aspetto della sua carriera. Continuerà a tenere concerti e a scrivere canzoni, ma niente più dischi.

Una circostanza, che getta una luce particolare su Threads, raccolta di canzoni inedite e cover, in cui Sheryl duetta con amici e ospiti, tutti di notevole peso artistico. Una sorta di celebrazione di celebrazione di quasi trent’anni di carriera, un testamento spirituale, una grande festa d’addio o il canto del cigno, scegliete voi la definizione che ritenete più opportuna.

Sta di fatto che per quest’ultimo capitolo, la Crow ha fatto le cose in grande, convocando a sé un parterre de roi da far tremare le vene nei polsi. Insomma, ci sono quasi tutti, da Willie Nelson a Keith Richards, da Stevie Nicks a Jason Isbell, da James Taylor a Neil Young. Tanta carne al fuoco, dunque, e forse troppa: il disco, infatti, è molto lungo e non tutto risulta essere all’altezza delle aspettative. E’ come se la Crow, presa da brama completista, avesse voluto inserire in questo lungo addio tutto quello che aveva nei cassetti.

Intendiamoci, non c’è nulla di veramente inascoltabile, a parte forse la stucchevole chiusura di For The Sake Of Love in duetto con Vince Gill, ma alcune canzoni sono, per così dire, prescindibili (The Worst con KeithRichards, Story Of Everything con Chuck D, Andra Day e Gary Clark Jr e Don’t con Lucius). Il resto invece non è affatto male, con alcuni vertici di livello altissimo.

Se l’iniziale ed esuberante, Prove You Wrong (con Stevie Nicks e Maren Morris), una Live Wire dalle cadenze bluesy (con Bonnie Raitt e Mavis Staples) o la radiofonica Wouldn’t Want To Be Like You (con St. Vincent) confermano un ritrovato stato di forma, quando Sheryl si trova a duettare con vecchi mostri sacri, la bellezza del disco subisce un’impennata. I duetti con Willie Nelson (la struggente Lonely Alone), Kris Kristofferson (l’intensa Border Lord) e quello con Emmylou Harris (Nobody’s Perfect), infatti, rientrerebbero di diritto in un prossimo greatest hits della songwriter statunitense.

Una menzione a parte merita l’antimilitarista Redemption Day in duetto con Johnny Cash, canzone che “the man in black” aveva già inciso per American VI: Ain’t No Grave, e che oggi vede nuova luce con le parti vocali di Sheryl aggiunte postume. Emozionante vetta di un disco bello, anche se non eccelso, che rende comunque l’addio alle scene della Crow un po' più doloroso.


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