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REVIEWSLE RECENSIONI
19/07/2024
Kid Kapichi
There Goes The Neighbourhood
Con il loro “There Goes The Neighbourhood” i Kid Kapichi raccontano la quotidianità delle cittadine di provincia, l’impatto della politica nella vita delle persone comuni, la vita da pub, le serate insieme ma anche la voglia di combattere contro un sistema marcio e che tende a far affievolire ogni forza di ribellione. I Kid Kapichi sono la voce di una piccola comunità che non vuole dimenticarsi come essere coesa, sono un invito a unirsi per non soccombere, ma scatenandosi ad un concerto nel frattempo.

"Siamo un prodotto del nostro ambiente. Come band operiamo nello stesso modo in cui Hastings opera come città. È un posto con un'etica punk, dove le persone sono tranquille, magari ti mandano affanculo e amano fare l'opposto di ciò che gli viene detto, ma è un luogo dove ancora ci guardiamo le spalle a vicenda e ci preoccupiamo della comunità. Non è sempre stato un bel posto dove stare, ma è per questo che ne siamo orgogliosi”. 

Da un'intervista a Jack Wilson, voce dei Kid Kapichi, a Kerrang

 

I Kid Kapichi portano alta la bandiera di Hastings, un’orgogliosa cittadina dell’East Sussex che dà sullo stretto della Manica, a poche decine di chilometri da Eastburne e dalle sue bellissime Seven Sisters, le bianche scogliere meno note ma inequivocabilmente più belle di quelle di Dover. Hastings è famosa, almeno di nome, principalmente per la celebre battaglia del 1066, che diede inizio alla conquista normanna dell'Inghilterra da parte di Guglielmo il Conquistatore, ma dopo l’ascesa dei Kid Kapichi potrebbe iniziare ad essere ricordata anche come culla di una delle band più interessanti del recente panorama inglese.  

I quattro ragazzi sono fedeli all’etica punk, ma con un sound che non disdegna di strizzare l’occhio anche all’alt-rock statunitense, pur rimanendo saldi nella loro ispirazione lirica a band profondamente inglesi come i Libertines, gli Arctic Monkeys, i Clash e gli Specials, capaci di raccontare con fedeltà, poesia e ironia la società inglese più quotidiana.  

 

Battaglieri, ruvidi e ironici, negli ultimi quattro anni i Kid Kapichi hanno sfornato ben tre dischi riuscendo a incanalare perfettamente la rabbia, la consapevolezza, il divertimento e la vita di un qualunque millennial inglese della working class. Nel 2021 il loro primo disco, This Time Next Year, c’era una prospettiva di speranza a fronte di una situazione desolante; nel 2022, quando quel tipo di speranza avrebbe dovuto iniziare a portare qualche risultato, è uscito Here's What You Could Have Won, che già dal suo esplicativo titolo (“questo è quello che avresti potuto vincere”) raccontava la sensazione di opportunità mancata e di rimpianto. In questo una nota di particolare merito va a “New England”, che oltre a essere un gran bel pezzo di canzone, è anche un caustico commentario sulla natura ipocrita e autocentrata dell’Inghilterra e sull’apatia della classe politica inglese.  

Nel 2024, dopo due anni, è il turno di There Goes The Neighbourhood, che affronta la sensazione più cupa che il danno sia già stato fatto, una presa d’atto di un’occasione svanita di cui ora possiamo solo vedere i risultati. Il disco è la reazione alla sempre più diffusa, disperante e non voluta idea che le cose possano solo peggiorare. Come accettare questa situazione? Come reagire? Come sopravviverle? 

 

I Kid Kapichi non hanno una soluzione, ma come gran parte dei millennial (inglesi e non solo), vivono scissi tra una sfiducia verso il futuro sempre più marcata a tutti i livelli (soprattutto politico) e una voglia di poter ripristinare quei valori e quel senso di comunità, benessere e decenza che se negli anni della giovinezza riconoscevano come valori tipici di una parte politica (labour), ora sembrano solamente una questione di buon senso o di senso di realtà.  

Come si può accettare una classe politica (locale, europea e mondiale) che non sa dove vive, non riconosce più la differenza tra uno slogan e un serio valore etico di riferimento, o, nonostante l’eventuale consapevolezza, è comunque costantemente impegnata solo a trovare il modo di mantenere il proprio potere, guadagnare di più e permettere che l’interesse di pochi o di altri prevalga sempre su quello delle persone che dovrebbero rappresentare? Perché l’interesse verso le persone c’è, ma solo al momento del voto e solo per quella parte di persone che ne hanno diritto, ci vanno e sono statisticamente maggioritarie, o per quelle che garantiscono un ritorno economico o degli interessi spendibili.  

Il bene comune? La responsabilità del benessere comunitario? Parole che probabilmente non sono mai state insegnate o di cui si è perso completamente il significato. In fondo, se ci sono continui episodi di misoginia, razzismo, cariche della polizia su folle che sfilano per chiedere la pace o una maggiore equità, se le persone non possono nemmeno permettersi di comprare o affittare una casa o di avere uno stipendio adeguato al tenore di vita del luogo in cui abitano, non è importante, giusto?  

Perché se per anni si fa capire alle persone che tutto può essere venduto, svenduto, offerto al miglior offerente e svuotato di significato, allora è sicuramente colpa delle generazioni successive che non fanno abbastanza o tengono alle cose sbagliate, è ovviamente colpa della gioventù se è depressa e non sa nemmeno più come reagire dinnanzi all’ennesima tragedia locale e globale, non certo di chi li costringe a non poter fare, dire e avere diritto a nulla. 

 

Masticati e trattati come sporcizia, 

I problemi sono delle persone quando i problemi peggiorano.  

[...] Stanchi di essere derubati.  

Credo che sia arrivato il momento di mangiare i ricchi 

Tu porti il coltello e io porto la gruccia 

Fammi sapere dov'è la rivoluzione 

[...] Perché ti dicono che è la verità e ti dicono che sei scemo 

Continuamente, finché non sei insensibile 

Così è questo che diventi 

E ti senti come se fossi stretto e ti senti come una pistola 

La battaglia non è finita, la guerra non è vinta 

Se pensano che sia finita, è solo cominciata 

Guardateli correre, guardateli correre quando arriva l'artiglieria” 

Kid Kapichi, “Artillery” 

 

È quindi così che i Kid Kapichi affrontano da trentenni la situazione: denunciando ciò che non funziona, in maniera aspra, diretta e sentendo che la speranza ogni anno sfugge sempre più dalle mani e dal cuore, ma anche cercando di raccontare la quotidianità con ironia e inframmezzando il tutto con piccoli spaccati stupidi, divertenti o poetici di vita di ogni giorno.  

Un gruppo di amici che sono più che altro fratelli, che affrontano insieme insidie, difficoltà, soddisfazioni e momenti belli e cercano di trovare quel senso di comunità tra loro, con i propri amici, nel proprio quartiere e nella propria città. Partire dal piccolo, non necessariamente per diventare grandi, ma sicuramente per cercare di diventare più felici. 

 

Ed è quindi così che Jack Wilson (voce e chitarra), Ben Beetham (chitarra), Eddie Lewis (basso) e George MacDonald (batteria) affrontano in maniera scanzonata e accessibile i più svariati temi: da un lato la frustrazione e l’epic fail della Brexit viene cantata in “Can EU Hear Me?” nel modo più divertente, allegro e coinvolgente possibile, dall'altro la chiamata alle armi contro un sistema di governo ormai truccato è presentata duramente in “Artillery”, dall’altro ancora il costo della vita emerge su “Get Down”, che però racconta nel dettaglio una serata al pub tra amici. Ci sono però anche la nostalgia degli anni Novanta in “Tamagotchi” e stupide canzoni d’amore non corrisposto o inventato in “Angeline” e “Subaru” per alleggerire la situazione che, per quanto sia sempre molto colorata e piacevole nel suono, non lo è spesso nei testi.  

“999”, ad esempio, è un'esplosione di rabbia contro la polizia, ispirata ad un fatto di cronaca che ha sconvolto la Gran Bretagna, il rapimento, stupro e omicidio di Sarah Everard da parte di un’agente di polizia fuori servizio, ma poi allargata alle diverse tipologie di repressioni attuate dalle forze dell’ordine, come quelle a tutte le manifestazioni pro Palestina, per cui il cantante Jack si chiede basito e sconsolato durante un’intervista a Rock Sound: “Come si può essere contrari a chi vuole fermare la morte degli altri?”. 

“Jimi”, d’altro canto, è una toccante dedica a Jimi Riddle, loro amico d’infanzia, idolo, mentore e fonte di ispirazione, un brano registrato in una sola ripresa e mai più cambiato, che la band non sa ancora se avrà mai il coraggio di suonare dal vivo. Come Jack dichiara nella stessa intervista a Rock Sound: “Questa canzone è il mio momento di maggior orgoglio nell'album, ma è stata difficile da scrivere. Onestamente, credo che Jimi la odierebbe, il che è esattamente quello che avrei voluto”. 

 

In canzoni come “Zombie Nation”, invece, emerge l’amore dei Kid Kapichi per lo ska inglese: la parte strumentale è nata il giorno dopo la morte di Terry Hall, cantante degli Specials, i testi poco dopo, quasi in memoria della loro “Ghost Town”. L’etichetta della band, la Spinefarm, ha chiesto loro se potevano lavorare con qualcuno per la realizzazione e hanno risposto subito che gli sarebbe piaciuto molto collaborare con Graham 'Suggs' McPherson, il frontman dei Madness, anche se l’avevano detto quasi per scherzo, dando per scontato di aver puntato troppo in alto; ma dopo pochi mesi hanno ricevuto una chiamata da Suggs in persona, che si è complimentato per il brano ed è venuto a Hastings per registrarlo con loro, partecipando anche al videoclip (ovviamente a tema zombie-horror). 

L’apprezzamento da parte di artisti di alto livello, però, non si è fermato qui: fin dagli esordi uno dei primi fan della band è stato Frank Carter, che li ha invitati sin dai primi singoli ad unirsi al suo tour con i Rattlesnakes, e successivamente i ragazzi sono stati invitati a fare da supporto anche ai The Specials al Dreamland di Margate e niente meno che a Liam Gallagher alla Royal Albert Hall di Londra.  

 

I Kid Kapichi sono una band specializzata in commenti sociali, che non si definisce politica ma si ritrova a fare commenti politici e a prendere una posizione semplicemente perché la situazione sociale lo rende inevitabile, anche se con uno stile e atteggiamento che loro stessi definiscono “alla South Park” (serie animata satirica statunitense di fine anni Novanta che trattava temi di politica e attualità cercando di sfatare i tabù della società, spesso usando la parodia e la commedia nera).  

Come spiega il chitarrista Ben Beetham in un’intervista a Kerrang: "Il nostro governo sa che più difficoltà si creano alle persone, più è facile dividerle. I social media scavano in profondità nelle parti più deboli della loro natura, creando una situazione in cui possiamo essere controllati a livello profondamente personale. L'arte serve a incoraggiare l'unità". Ed è proprio questa unità che si ritrova nello spirito di denuncia, ma anche nelle canzoni più leggere e che danno più tregua all’ascoltatore.  

 

I Kid Kapichi sono quella band di amici con cui puoi fare discorsi seri, discutere di cronaca, progettare di cambiare il mondo, parlare della tua ultima cotta, sparare battute a raffica per ore o bere al pub fino al mattino. Sono quel tipo di artisti modesti, che hanno i piedi ben piantati a terra, ma che ti ispirano a cambiare il mondo in cui vivi, a ribellarti alle oppressioni e alle ingiustizie, anche se sanno che razionalmente la loro musica non avrà mai tutto quel potere.  

I quattro combattenti di Hastings, però, continuano però a credere che la rivoluzione si può fare anche dando alle persone un’occasione per guardare le cose sotto una luce diversa e soprattutto per riunirsi, parlare e partecipare insieme, anche solo a un concerto, ma dove possano tutti sentirsi uniti, una piccola comunità coesa.

E a quel punto sì che prende una sfumatura di forza diversa una canzone come “Let's Get To Work”, che ripete sì che non si può fare affidamento su chi comanda per cambiare le cose, ma che ricorda a tutti che quando si fa da soli, ancora meglio se uniti, si può ottenere molto di più di quanto si sia portati a credere. E quindi sì, arrabbiamoci, divertiamoci, ma tiriamoci anche su le maniche e andiamo noi, insieme, a fare ciò che va fatto, a lottare per ciò che meritiamo.