Cerca

logo
REVIEWSLE RECENSIONI
01/08/2024
Evergrey
Theories Of Emptiness
Quasi trent'anni di carriera e non sentirli: gli svedesi Evergrey tornano con uno dei loro dischi migliori, suggestivo connubio fra riff killer, melodie cristalline e oscura malinconia.

La storia del vino che invecchiando diventa più buono vale solo se la materia prima è di livello eccelso e se l’invecchiamento è seguito con cura, attenzione e passione. Se no, il rischio è quello di trovarsi di fronte a una broda imbevibile.

Il paragone enologico, in senso assolutamente positivo, ben si adatta alla storia degli Evergrey, i quali hanno onorato quasi trent’anni di carriera non sbagliando un colpo. Fedeli al loro credo, insensibili alle mode, maestri nel tratteggiare un prog metal intelligente, malinconico, ricco di soluzioni melodiche di prim’ordine, perfetto contrappunto di passaggi sonori di deflagrante energia, i cinque svedesi surfano ancora sulla cresta dell’onda.

Eppure, disco dopo disco, in un contesto immediatamente riconoscibile, la band non ha mai mancato di affinare il linguaggio, di contestualizzare la proposta, di approfondire una scrittura che pare sempre miracolosamente ispirata.

Quasi trent’anni e non sentirli, tanto che Theories of Emptiness, il loro ultimo album e quattordicesimo in studio, sembra rafforzare ulteriormente quanto sopra detto.  Dopo il precedente, e ottimo, a parere di scrive, A Heartless Portrait del 2022, Theories of Emptiness continua a muoversi lungo un territorio familiare, senza che, tuttavia, la narrazione divenga prevedibile o stantia.

L'album suggella anche la registrazione finale con il gruppo per il batterista Jonas Ekdahlm, sostituito da Simen Sandnes (Temic), di recente annunciato come nuovo membro della band. La line up risulta più pimpante che mai, con menzione necessaria per il leader, Tom Englund, autore di una performance di altissimo livello, grazie a quel timbro che sa scartavetrare le orecchie o accarezzare l’anima, e allo straordinario lavoro alle tastiere di Rikard Zander, che riempie ogni vuoto con gusto e consapevolezza unici.

Dieci canzoni per tre quarti d’ora di musica senza un filler, in cui Englund ed il dimissionario Ekdahlm levigano i brani con una produzione curatissima, in cui niente è lasciato al caso.

L’opener "Falling From the Sun" è una bomba melodica che non lascia scampo, una di quelle canzoni che fa capire cosa sono in grado di fare gli Evergrey al meglio: strofa martellante e un ritornello talmente brillante che si canticchia in meno di un minuto. "Misfortune" è un altro brano memorabile, costruito su un riff potentissimo che, incastonato fra splendide tastiere, esplode in un ritornello ad alto contenuto power.

Molte delle canzoni in scaletta, come il singolo "Say", grazie a un riff killer e al ritornello accattivante, si offrirebbero a svariati passaggi radiofonici, se al mondo esistessero radio che non passano solo ciofeche, ma l’armamentario degli Evergrey è vario ed efficace anche ad altri livelli. "To Become Someone Else" è un ordigno a orologeria, inizia come una melodia cupa e dolente (ripresa nel ritornello) per poi esplodere in un turbinio di chitarre ribassate, "Cold Dreams" è una power ballad che aggiunge pochi elementi elettronici e vede la presenza alla voce di Jonas Renkse dei Katatonia e Salina Englund, la figlia di Tom, "Ghost Of My Hero" è un lentone spacca cuore, in cui il frontman dà prova delle straordinarie doti vocali, mentre "We Are the North" è pesante, oscura, scossa da una vibrante anima djent. 

Theories of Emptiness è l’ennesimo bersaglio colto nel centro da una band che non palesa alcuna flessione in termini di ispirazione, e che continua a esplorare il proprio mondo costruito su brani melodici e vibranti, trasportando gli ascoltatori in un viaggio attraverso un paesaggio di stati d'animo mutevoli. Intrecciata nel tessuto di ogni canzone c'è una sottile corrente sotterranea di malinconia e un toccante ricordo della bellezza agrodolce dei momenti fugaci della vita, che rendono gli Evergrey una delle migliori prog metal band in circolazione.