The Man Who Sold The World è un disco a faticosa gestazione e a definitiva ossessione per l’ascoltatore. Colossale e mostruosa come una creatura di Robert E. Howard, si erge la sua monumentale apertura: “The Width Of A Circle”. Essa nasce con dimensioni quasi accettabili, come sanno tutti quelli che ne conoscono anche le versioni giovani (non giovanili). Poi l’opera si sviluppa e cresce quasi incontrollabile fino a divenire una schizofrenia a due e fra due: le liriche di David Bowie da una parte e le partiture di chitarra di Mick Ronson (l’angelo biondo di Hull) dall’altra. Separati e complementari, loro, come li si ascolta e vede in Ziggy Stardust and the Spiders from Mars di Donn Alan “D. A.” Pennbacker: Halloween Jack (Ziggy muore formalmente quella sera) preso nei suoi mimi quasi leziosi per i profani e Ronno a calpestare il legno del Hammersmith Odeon londinese come i listelli del ponte del suo veliero corsaro, le fibbie henrymorganiane inconfondibili delle calzature a ricordarcelo.Ogni volta l’ascolto è una esperienza e, come se non bastasse, nemmeno il tempo di riprendere fiato e si casca in “All The Madmen”.