Votato alla discrezione dell’understatement e figlio di un’estetica artigianale, lo scozzese James Yorkston, ormai da quasi vent’anni, rilascia dischi con invidiabile prolificità. Che si tratti di album da solista, di quelli rilasciati sotto l’egida Yorkston / Thorne / Khan o, addirittura, dei due libri che ha scritto, lo stile del songwriter scozzese è sempre stato improntato a una serafica calma e a una consapevole sicurezza.
Il suo, è il suono di un narratore che fin dagli esordi ha avuto ben chiaro lo sviluppo del proprio songwriting, il dipanarsi della propria prosa, il susseguirsi delle note sullo spartito, il lessico da usare per ogni occasione. Ha imboccato una strada e quella è stata, senza mai rilevanti digressioni dal percorso, senza mai la necessità o l’aspirazione a esplorare nuovi territori. Una circostanza, questa, che è diventata un'arma a doppio taglio: da un lato, grazie alla cura di Yorkston per gli arrangiamenti e la lungimiranza nello scegliere i collaboratori, ha partorito dischi che, per quanto prevedibili e famigliari, hanno raggiunto vette notevoli (Moving Up Country del 2002), dall’altro, però, ha anche generato una ripetitività che, nei momenti meno ispirati, partorisce composizioni noiose e prive di fantasia (I Was a Cat From The Book del 2012).
The Wide, Wide River non sfuggirebbe a questa regola non scritta se non fosse che, a livello di collaborazione, viene coinvolto il produttore svedese Karl-Jonas Winqvist e la sua Second Hand Orchestra. Con la band, si realizza un timido scostamento dalla consueta ortodossia, e il taglio interpretativo risulta colorato e frizzante. Il disco, poi, è stato registrato in soli tre giorni, con un approccio da “buona la prima”, che ha reso l’impianto complessivo assai vivace, anche grazie alla qualità dei musicisti coinvolti.
Ella Mary Leather apre il disco con il classico suono Yorkston: una progressione melodica risaputa, un ritornello genuinamente contagioso, ma nulla più di quanto già ascoltato in passato. La successiva To Soothe Her Wee Bit Sorrows possiede un’anima clamorosamente vanmorrisoniana, l’arrangiamento saetta avanti indietro tra la voce e l’orchestrazione, il feeling fra Yorkston e la Second Hand Orchestra trova la sua massima espressione in equilibrio tra esplosività jammistica e misurata espressività. Allo stesso modo, anche Struggle ci consegna una band perfettamente sincronizzata, che spinge la melodia e si carica sulle spalle il peso emotivo del brano, mentre la voce calda di Yorkston si insinua delicatamente sotto pelle.
La stessa struttura, la si ritrova in There Is No Upside, che scorre ancora più vibrante, anche se melodicamente meno fascinosa, mentre poi il disco viene chiuso da due episodi più intimi, il folk dai sentori agresti di A Very Old- Fashoned Blues e il lento incedere malinconico di We Test The Beams, ballata da groppo in gola e fazzoletto alla mano.
La forza di questo nuovo lavoro risiede, sicuramente, nella collaborazione con la Second Hand Orchestra, una band capace di assecondare gli umori Yorkston, il quale, nei momenti più riusciti dell’album, ha avuto il coraggio di fare un passo indietro e diventare una parte del tutto. E’ indubbio che, in questo modo, la musica contenuta The Wide, Wide River si ammanti di inusitati colori e fluisca con una vivacità che in altri lavori era mancata, riuscendo ad arrivare dritta al bersaglio senza rilevanti inciampi. Se è l’inizio di una collaborazione destinata a durare, potrebbe anche essere una svolta decisiva nella carriera del musicista originario del Fife.