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REVIEWSLE RECENSIONI
11/06/2019
Kenny Wayne Shepherd Band
The Traveler
The Traveler è un disco discreto, ma senza episodi eclatanti, ci sono buone canzoni, ma nessuna è davvero memorabile, e in più di un’occasione Shepherd mostra i muscoli come se volesse così ovviare a una evidente mancanza di ispirazione

Potrà non piacere lo stile o il suono, questi dipendono esclusivamente dal gusto personale di ogni ascoltatore, ma è indubbio che Kenny Wayne Shepherd, in quanto a tecnica ed eclettismo, sia comunque uno dei migliori chitarristi della sua generazione. Sempre in bilico sullo stretto confine che separa rock e blues, il musicista originario della Lousiana, ha già alle spalle una carriera di tutto rispetto, segnata dall’uscita di dieci dischi in quasi un quarto di secolo di attività, e nobilitata dalla militanza nei Rides, super band composta anche da Stephen Stills e Barry Goldberg.

Se le capacità tecniche non si discutono, meno brillanti sono le sue attitudini di compositore: musica schietta, sincera e sanguigna, ma priva di grandi picchi di originalità. Meglio, poi, quando, Shepherd vira decisamente verso il blues, genere in cui il chitarrista sembra più a suo agio e sfoggia anche ottime doti di interprete, rispetto a quando si cimenta in sonorità più rock, materia in cui spesso e volentieri scivola nel prevedibile e nel radiofonico. Basterebbe confrontare la diversa caratura degli ultimi due dischi pubblicati, Goin’ Home del 2014, clamoroso abbecedario di musica blues, e Lay It On Down del 2017, più fortemente marcato da un suono rock, per rendersi conto di quanto appena affermato.

The Traveler si inserisce nella scia del predecessore, è un disco discreto, ma senza episodi eclatanti, ci sono buone canzoni, ma nessuna è davvero memorabile, e in più di un’occasione Shepherd mostra i muscoli come se volesse così ovviare a una evidente mancanza di ispirazione.

In scaletta, ci sono due cover, Mr. Soul di Neil Young e Turn To Stone di Joe walsh, entrambe interpretate alla perfezione, con grinta e dispendio di assoli, tutti molto belli. Altalenante, invece, il resto del disco: Woman Like You è un rock potente, ma abbastanza prevedibile, Long Time Running è tirata e aggressiva, ma gode di un refrain dal sapore radiofonico, I Want You ha un passo cadenzato, decisamente più blues, ed è sostenuta da un vibrante arrangiamento di ottoni, Talwind è una ballata rock, con una bella melodia che si potrebbe guadagnare svariati passaggi in FM, Gravity è un’altra ballata elettrica, già sentita, forse, ma solida e impreziosita da un ottimo ritornello, mentre Better With Time è un saltellante rock senza pretese, che diverte e niente più.

Insomma, non proprio il disco dell’anno, anche se, a onor del vero, si ascolta volentieri, è ben suonato e KWS, il suo, che sono gli assoli, lo fa alla grande. D’altra parte, per quale altro motivo verrebbe voglia di comprare il disco di un chitarrista, se non per ascoltarlo strapazzare, e bene, la propria sei corde?


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