È molto probabile che in The tender bar non troverete nulla che non abbiate già trovato altrove, durante altre visioni, nelle scorribande tra i prodotti di tanto cinema americano, nelle spedizioni tra le corsie delle vhs già ai tempi dei Blockbuster (la catena), nell'approccio alle narrazioni da coming of age che siano queste cartacee o filmiche poco importa.
Insomma, in questo The tender bar non c'è nulla di nuovo, eppure dall'approccio alla materia e al libro dal quale il film è tratto, George Clooney tira fuori un film molto partecipato, lieve, capace di toccare lo spettatore senza ricorrere a trucchetti, ricatti emotivi o facili sottolineature viste e riviste nelle biografie di protagonisti provenienti da situazioni svantaggiate o di disagio sociale.
Clooney si gioca la carta della normalità mischiata a quella della tenerezza, dell'empatia, dei sentimenti delicati capaci di accompagnare la crescita di un ragazzo che potrebbe essere in contesti diversi uno qualsiasi dei nostri conoscenti, partito magari con qualche difficoltà e al quale il destino ha poi deciso di arridere in qualche misura, in fondo è possibile, magari ad altre latitudini più che dalle nostre parti, ma quella che Clooney mette in scena è una progressione di eventi tutto sommato non troppo comune ma assolutamente credibile.
Dopo essere stata scaricata dal suo compagno e dopo l'ennesima delusione lavorativa, con suo grande rammarico Dorothy (Lily Rabe) si vede costretta a tornare a rifugiarsi nell'affollata casa paterna insieme al figlio J.R. (Daniel Ranieri). La donna vede questa situazione come un fallimento personale, inoltre la casa paterna, che è la casa di una famiglia tutto sommato povera di mezzi, è davvero troppo piena di gente, una ridda di zii e cugini che però per il piccolo J.R. (abbandonato dal padre (Max Martini), un dj soprannominato "la voce") è un vero toccasana, soprattutto per la presenza di quello zio Charlie (Ben Affleck), proprietario del bar The Dickens e amante della letteratura, che diventerà insieme alla madre la vera figura di riferimento per un bambino che ha passato troppo tempo ad aspettare inutilmente di poter ricostruire un rapporto con quel padre assente.
Inoltre Dorothy prova un astio malcelato verso suo padre (Christopher Lloyd), un capostipite a suo modo di vedere le cose incapace di mostrare affetto per chicchessia, una convinzione della quale Dorothy dovrà ricredersi proprio grazie alla presenza di suo figlio J.R. al quale tutti i parenti, nessuno escluso, si affezioneranno molto, compresi i membri di quella famiglia allargata composta dagli avventori abituali del bar di zio Charlie, una seconda famiglia che molto avrà da donare a J.R. lungo tutto il corso della sua giovinezza, anche quando più grande (Tye Sheridan) tenterà di coronare il sogno di mamma Dorothy e di entrare a Yale per costruirsi una carriera sicura.
The tender bar è uno di quei film capaci a fine visione di farti sentire bene, appagato, potrebbe in effetti rientrare in quella categoria oggi nota proprio come feel good movies. Lo fa però con grande sincerità e senza pedanterie o ruffianerie di sorta; Clooney sceglie un approccio stilistico molto classico e lineare potendo contare su un comparto estetico e sonoro favoloso (bellissima la scelta dei pezzi in soundtrack).
La ricostruzione dei seventies è impeccabile, gli abiti, le scenografie, tutto riporta indietro nel tempo e ammanta l'intero film di un gustoso sapore nostalgico accentuato dalla figura dello zio Charlie, qui interpretato da un Ben Affleck in una delle sue prove migliori (si ok, non è un grande sforzo, ma qui è stato bravo davvero), un gestore di bar che forse avrebbe potuto essere qualcosa di più e che coglie l'occasione per evitare all'amato nipote di avere rimpianti in futuro. Il succo è provarci, mettere da parte i timori, le probabilità avverse e provarci.
L'amore per la letteratura dello zio si trasferisce al nipote e diventerà la possibilità concreta di intraprendere una carriera nella scrittura, in fondo "l'editoria si sta muovendo verso l'autobiografia", un settore nel quale il protagonista J.R., privo anche di un vero nome, si può spendere senza timore di rimanere senza argomenti.
Sono i buoni sentimenti, i legami sinceri, il vero motore di The tender bar, impossibile non commuoversi vedendo quel nonno (falsamente) arcigno, solitamente scalcagnato, scendere le scale vestito di tutto punto per accompagnare il nipote alla colazione con i papà, un nipote impossibilitato altrimenti a partecipare vista l'infame figura paterna che (non) si ritrova. Un grandissimo Christopher Lloyd per la scena in assoluto più bella dell'intero film. Molto indovinata l'atmosfera che si respira nel bar con uno gruppo compatto di clienti sui generis sempre disposti ad aiutare il giovane J.R., un Tye Sheridan molto in parte, e a dargli le dritte per seguire la rotta della vita che porterà il ragazzo a diventare un uomo, in questo aiutato dalle poche regole fondamentali di zio Charlie. Alla fine il ragazzo si farà, anche se ha le spalle strette...