Ma cosa succede quando è la storia di quel documentarista ad essere quella da raccontare, da analizzare, da condividere? Succede che quel(la) documentarista si mette in altri panni, chiama un'attrice a vestire i suoi, e aggiunge alla sua macchina da presa il filtro della finzione, per raccontare però la sua verità. Una verità rimossa, rimasta imprigionata in pagine di diario, in un tema scolastico che, ancora una volta sotto il filtro del racconto, raccontava una realtà agghiacciante. Jennifer Fox è un'apprezzata documentarista, felicemente fidanzata, con una vita sessuale soddisfacente. Tutta se stessa viene rimessa in discussione a causa di un tema che la madre ha scovato in soffitta, un tema che lei ha scritto, e che racconta di un'estate apparentemente perfetta, e di un inverno altrettanto da sogno passato con la sua insegnante di equitazione e il suo addestratore sportivo. Ma c'è qualcosa che non va. C'è un amore, e un abuso, che da quelle pagine traspare, e anni che mettono tutto in discussione. Ne aveva tredici, Jenny, in quell'estate, non era l'adolescente sbocciata e innamorata, era una bambina indifesa che non sapeva come dire di no. Oggi, non sa come accettare quella pagina del suo passato che aveva rimosso, che aveva edulcorato, su cui non si era più soffermata. Ma ora, quella verità la vuole guardare in faccia, e con il piglio della documentarista parte alla ricerca di fonti, si avvale di investigatori, di amiche che come lei tornano a ricordare, cercando la pace, l'equilibrio. Prodotto da HBO, nominato agli scorsi Emmy (dove però ha dovuto lasciare spazio a Black Mirror), il film di Jennifer Fox assesta numerosi pugni allo stomaco. Siamo negli anni '70, sì, quelli della libertà sessuale, della promiscuità e pure di certa sperimentazione, ma niente di quello che vediamo è giustificabile. Onestamente, da un punto di vista prettamente cinematografico, non è giustificabile nemmeno vedere certe scene esplicite anche se nessuna bambina è stata coinvolta. Ma, la verità, la Fox ce l'ha voluta sbattere in faccia, usando una fragile e vulcanica Laura Dern, usando tecniche proprie del documentario, come interviste impossibili alla se stessa bambina e ai suoi insegnanti, e mostrandosi come insegnante che queste tecniche le spiega ad alunni universitari. Una verità con cui è davvero difficile fare i conti, rendendo difficile il perdono verso se stessi, verso genitori che qualcosa percepivano, verso un corpo che sa però difendersi. Non è una visione facile The Tale, è un racconto in cui non si riesce a tenere la giusta distanza, e la scelta di usare la finzione, di usare attori e di muovere accuse attraverso queste lenti, sa di catartico, sa di necessario.