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REVIEWSLE RECENSIONI
The Swiss Army
Northern Portrait
2022  (Matinée Recordings)
IL DISCO DELLA SETTIMANA INDIE ROCK POP
9/10
all REVIEWS
05/09/2022
Northern Portrait
The Swiss Army
Fate vostro The Swiss Army, se vi piace questo tipo di proposta: non è un disco che vedrete recensito troppo in giro, al gruppo la promozione interessa molto poco, i Social li hanno ma non li usano e la loro etichetta è di quelle vecchio stampo, che preferisce il formato fisico e ci tiene a mantenere una sorta di aura esoterica attorno al proprio operato. Detto questo, snobbare un lavoro del genere sarebbe un delitto imperdonabile, credetemi.

C’è qualcosa, nel talento, un dato invisibile eppure tremendamente concreto, che pare in grado di attraversare le barriere del tempo e giungere, immacolato, alla dimensione del presente, come se nulla fosse successo nel frattempo. Stefan Larsen dei Northern Portrait di talento deve averne un bel po’, anche se non lo abbiamo certo scoperto oggi. Ci era già riuscito in passato, ai tempi del favoloso esordio Criminal Art Lovers, datato 2009, a riassumere quattro decenni di Indie Pop nello spazio di una manciata di canzoni, un livello di scrittura talmente alto da farti domandare se fosse tutto reale.

Prima e dopo ci sono stati alcuni EP, nel 2013 raccolti nella compilation ta!, assieme ad alcuni singoli usciti in diverse occasioni. È praticamente da quel che momento che non abbiamo nessuna notizia dei Northern Portrait. Erano venuti in Italia sempre nel 2013, a supportare il nuovo EP Pretty Decent Swimmers, è una data che mi porto ancora nel cuore, non solo perché fu bellissimo, ma anche perché fu il mio primo concerto in assoluto all’Ohibò, che aveva aperto da poco e che, come tutti sanno, è oggi ufficialmente defunto.

Fatto sta che, se si eccettua la pubblicazione del singolo “The Young And Hopefuls” pochi mesi dopo, per la band di Copenhagen gli ultimi anni sono stati caratterizzati dal silenzio assoluto.

Poco prima del lockdown avevo scritto su Facebook a Stefan Larsen (ci eravamo conosciuti nell’occasione di quel concerto milanese, quando li avevo intervistati) chiedendogli come stesse e se ci fossero delle novità in arrivo. Dopo mesi passati senza risposta, mi convinsi che il quartetto danese era ormai entrato nel novero delle band eccezionali passate prematuramente a miglior vita. Mi rispose ad ottobre, chiedendo scusa per il fatto che Facebook non lo usava mai e che vedeva solo in quel momento il mio messaggio. E con mia grande sorpresa mi disse che sì, stavano tornando con un nuovo album.

Nel novembre del 2020 è uscito effettivamente un nuovo brano, “At Attention”, sempre per la storica etichetta californiana Matinée Recordings, che ha pubblicato tutta la musica rilasciata dal gruppo. Era stato presentato come apripista dell’imminente disco ma, per motivi che ignoro, c’è voluto ancora diverso tempo prima di vedere ripagate le nostre attese.

Questa lunga premessa per dire che, adesso che The Swiss Army è finalmente qui, trovare le parole per descriverlo è veramente difficile. Perché in nove anni succedono tante cose, si possono appendere gli strumenti al chiodo oppure ci si può stufare di quello che si era e mettersi a fare qualcosa di totalmente diverso. I Northern Portrait hanno imparato questo particolare potere di cristallizzare l’istante e sono rimasti chiusi in quella bolla tra 2007 e 2012, durante la quale hanno partorito quei 25 brani che non ho nessuna paura a definire capolavori.

The Swiss Army suona assolutamente identico a come ce li ricordavamo ma allo stesso tempo sembra proseguire quel processo, già in atto da Pretty Decent Swimmers, di ampliare lo spettro di influenze: ci sono sempre gli Smiths a fare capolino qua e là ma sono meno presenti del solito, per un disco che si nutre di Jangle Pop ma incorpora tutta una serie di suggestioni che vanno dagli Suede ai Pulp, passando per Housemartins, David Bowie, Stone Roses e poi fate voi tutti i nomi che vi vengono in mente su questa falsariga.

È un disco derivativo, certamente. Ma Stefan Larsen, che immagino abbia sempre scritto tutte le canzoni, con l’aiuto saltuario del batterista Michael Sørensen (il comunicato stampa non diceva nulla a riguardo per cui do per scontato che la formazione sia sempre la stessa, quindi che anche il chitarrista Caspar Bock Sørensen e il bassista Jesper Bonde siano della partita) ha sempre avuto questa sorprendente capacità di interiorizzare tutto e restituirlo in una sintesi a suo modo personale, che in questi pochi anni ha permesso alla band di avere un’impronta facilmente riconoscibile, nonostante tutto. È un disco fortemente radicato in un genere, in una storia, ma è anche un disco senza tempo, contiene melodie che stanno sospese in uno spazio indefinito, in una zona di bellezza che è poi quella che sempre ricerchiamo quando ci accingiamo ad ascoltare il nuovo album della nostra band preferita.

The Swiss Army poi sembra avere un carattere più variegato: ci sono le solite cavalcate Pop (“At Attention”, “Long Live Tonight”), gli episodi più lenti dal sapore agrodolce (“Business Class Hero”, “The Soft Revolution”, “Nineties Survivor”, titolo che è tutto un programma, tra l’altro), cose più spettrali e vagamente oscure (“From Here Our World Extends”), momenti di epica magniloquenza (“Once Upon a Bombshell”, che è il secondo singolo estratto e che per me è la migliore in assoluto della scaletta, ritornello veramente pazzesco) e addirittura tentativi di darsi un tono più ironico e sbarazzino (“World History Part I & II”, che come da titolo è effettivamente costituita da due parti, in continuità ma anche molto diverse come intenzioni).

Il tutto condito da una produzione scintillante, che valorizza ogni componente, anche in quei momenti in cui il suono si fa più pieno (ci sono inserti di fiati in alcune occasioni) e da melodie vocali che, come sempre sono il vero punto di forza di questa band. Che siano ballate nostalgiche o Up Tempo Jangle Pop, non c’è un singolo elemento che non vi si stamperà in testa dopo pochi ascolti, non c’è un ritornello che si possa evitare di cantare a squarciagola.

Insomma, non è cambiato assolutamente nulla. Fate vostro The Swiss Army, se vi piace questo tipo di proposta: non è un disco che vedrete recensito troppo in giro, al gruppo la promozione interessa molto poco, i Social li hanno ma non li usano e la loro etichetta è di quelle vecchio stampo, che preferisce il formato fisico e ci tiene a mantenere una sorta di aura esoterica attorno al proprio operato. Detto questo, snobbare un lavoro del genere sarebbe un delitto imperdonabile, credetemi. Adesso aspettiamo le date del tour, anche se dubito fortemente ce ne saranno molte. Speriamo siano in un periodo comodo per poter viaggiare.