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REVIEWSLE RECENSIONI
The Surfing Magazines
The Surfing Magazines
2017  (Moshi Moshi Records)
PSICHEDELIA ROCK
7/10
all REVIEWS
15/09/2017
The Surfing Magazines
The Surfing Magazines
Uno sberleffo al trito onanismo autoreferenziale tutto barba e occhialetti dell’indie-rock-noise-prog-e-altri-cazzi? Un pamphlet assai bene argomentato sulla necessità di un giudizioso ritorno alla old school? O un semplice divertissement inerziale senza ipocrite collusioni con il cogente intellettualismo finto-ribelle da quattro soldi?

Uno sberleffo al trito onanismo autoreferenziale tutto barba e occhialetti dell’indie-rock-noise-prog-e-altri-cazzi? Un pamphlet assai bene argomentato sulla necessità di un giudizioso  ritorno alla old school? O un semplice divertissement inerziale senza ipocrite collusioni con il cogente intellettualismo finto-ribelle da quattro soldi?

Nell’omonimo esordio di The Surfing Magazines (The Go-Betweens, anyone?) convivono disinvoltamente lo sberleffo, il pamphlet e il divertissement, assieme all’autentico e genuino  piacere di fare musica in modo spontaneo e, soprattutto, immune da fantasticherie nerd autocompensatorie di originalità a tutti i costi; anzi, questi quattro birbantelli reazionari (David Tattersall, voce e chitarra; Franic Rozycki, basso;  ovvero due terzi dei Wave Pictures assieme Charles Watson, ovvero metà degli Slow Club, e al batterista Dominic Brider) ostentano orgogliosamente un palpitante cuore vintage e un imperituro amore per i good old times, squadernando a bella posta ascendenze ai limiti del plagio in undici spassosissime tracce di autentico modernariato rock’n’roll.

Echi di Neil Young in gita sulla West Coast (“Voice Carry Through The Mist”, ispirata ad alcune pagine di The Big Sleep di Raymond Chandler) e del Dylan nel suo periodo tardo-cristiano (“Summer” pare manifestarsi dal limbo del ripensamento che sta da qualche parte tra Shot Of Love e Infidels) coabitano felicemente coi chunga-chunga chitarristici dei Rolling Stones primigeni alle prese con Bo Diddley nel palustre rockabilly di “Goose Feathered Bed” (una piccola gemma l’assolo di armonica courtesy of Brider) e, nomen omen,  con un paio di divertenti  strumentali surf imbottiti di chitarre in staccato cariche di tremolo: “Peeping Dom” (il miglior brano strumentale surf degli ultimi vent’anni, a detta di Tattersall), calembour che gioca col come del batterista, Dominic, e il cult-movie britannico Peeping Tom (in Italia uscì col titolo L’occhio che uccide) del 1960, diretto da Michael Powell, e “A Fran Escaped” (il secondo miglior brano strumentale surf degli ultimi vent’anni, sempre a detta di Tattersall), altro gioco di parole questa volta dedicato al sodale di lunga data Franic Rozycki e al film francese A Man Escaped (Un condannato a morte è fuggito, la versione italiana), diretto nel 1956 da Robert Bresson.

Impreziosito qua e là da sulfurei innesti di sax (il migliore dei quali spicca sul miglior brano del lotto, la bellissima “Line And Shadows”), viscosi riff chitarristici, infiorettate d’organo à la Manzarek (sarà mica un Hammond quello che sfrigola sulla psych-edelica “Sawdust In My Eyes” assieme a un assolo di chitarra prezzemolato di nonno Young?), l’album è tanto sfacciatamente derivativo quanto spudoratamente onesto e chiunque abbia il coraggio, nel 2017, di concepire barra scrivere barra pubblicare una comedy song dai rimandi  hollywoodiani come “One Of These Days”, congegnata sui più raffermi stereotipi delle ballate soul anni ’50, e renderla non solo fresca ma pure credibile, merita una di quelle deferenti scappellate cui non siamo più adusi da decenni (appunto). Elevatissima la caratura tecnica e compositiva dei quattro musicisti, che mai si perdono nella prosopopea masturbatoria tanto plaudita dai riccardoni e dai vessilliferi del rock “alternativo”: lo schietto Sixties-garage di “New Day” sbertuccia gli uni e gli altri con insolenza liberatoria.

Vi cambierà forse la vita, The Surfing Magazines? Ma no, figuriamoci, nemmeno se, come me, siete tra coloro che amano crogiolarsi nella favola della musica che cambia la vita; potrebbe però aiutare tutti quelli che ancora credono alla “fatina buona del cazzo” a tenere occhi e mani lontani dal prepuzio per scoprire mondi anche altrove.

Era una battuta sarcastica, naturalmente. La verità è che questo non è un disco per la senile gioventù petalosa della nostra epoca o per le sessuofobiche sciacquette neo-femministe: è un disco di rock’n’roll ovvero una spezia rara, di questi tempi.