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REVIEWSLE RECENSIONI
29/08/2024
Ritual
The Story of Mr. Bogd – part 1
The Story of Mr. Bogd è il nuovo concept album dei Ritual, una delle band più incredibili del panorama Progressive mondiale: una brillante miscela di Prog e Folk senza troppi barocchismi, con una grande attenzione all’aspetto melodico e, cosa non da poco, un’impronta di assoluta originalità.

Può darsi che questo disco passerà inosservato ai più ma è bene chiarire che si tratta di un ritorno clamoroso: gli svedesi Ritual si erano sciolti all’indomani di The Hemulic Voluntary Band, si erano timidamente riformati nel 2020 ma a parte un EP che anticipava un fantomatico nuovo album, era accaduto molto poco, anche sul fronte live. Ora finalmente l’attesa è finita e, diciassette anni dopo quell’ultima prova in studio, possiamo di nuovo godere della musica di una delle band più incredibili mai apparsa nel movimento Progressive mondiale.

È un giudizio che suona esagerato, ne sono più che consapevole, soprattutto perché a livello di numeri hanno raccolto sempre molto poco, eppure il quartetto di Stoccolma ha saputo esprimere, in soli quattro dischi tra 1995 e 2007, una brillante miscela di Prog e Folk, senza troppi barocchismi, con una grande attenzione all’aspetto melodico e, cosa assolutamente non da poco, un’impronta di assoluta originalità. I Ritual, al netto dei riferimenti e delle influenze, suonano esattamente come i Ritual, ed è incredibile constatare che, dopo tutti questi anni, niente sia davvero mutato.

L’attacco orchestrale di “A Hasty Departure”, nel suo immediato sfociare in una cavalcata in tempo dispari, con la voce di Patrik Lundström a ricamare linee vocali dal sapore epico, ha il potere di azzerare il tempo: sono passati diciassette anni, ma potrebbe tranquillamente essere ancora il 2008.

 

The Story of Mr. Bogd è un concept album, il primo realizzato dalla band, e quell’indicazione “part 1” sottintende abbastanza esplicitamente che ci sarà un seguito: lo hanno precisato loro stessi in una recente intervista ma, se anche non fosse stato così, ci ha pensato lo svolgimento stesso della storia, che si interrompe bruscamente con un cliffhanger notevole, che riesce alla perfezione nell’intento di far crescere l’attesa.

Contrariamente al passato, non ci sono più Tove Jansson ed i suoi Moomins come fonte d’ispirazione, ma si tratta di una storia originale scritta dal gruppo stesso: siamo in un ipotetico universo “dickensiano” e Mr. Bogd è un uomo ricco che vive in città, possiede fabbriche e si occupa di tutta una serie di attività, ma non è contento della sua vita. Un giorno, di punto in bianco, decide di andarsene e, in compagnia del fido autista Parkhurst, sale sulla sua carrozza e si dirige nel mondo selvaggio e incontaminato della campagna. Qui farà una serie di incontri e vivrà diverse avventure (tutte dal tono magico e fiabesco, il soprannaturale sembra giocare un ruolo importante nella vicenda) scoprendo pian piano se stesso e ciò che realmente desidera; fino, appunto, a quell’accadimento improvviso che rischia di mettere la storia su nuovi binari…

 

Non è ovviamente il caso di raccontare la vicenda nel dettaglio, anche perché il gruppo ha deciso di rendere le cose molto facili ai propri ascoltatori: le avventure di Mr. Bogd sono infatti narrate dalla voce dello stesso Lundström, coi testi che, di fatto, funzionano come un libro, nell’alternarsi di voce narrante e dialoghi. Contrariamente ad un normale concept album, dunque, dove per comprendere appieno i testi serve un apparato esplicativo più ampio, qui non bisogna far altro che ascoltarsi il disco, e la storia si dipanerà da sola.

Si tratta di una tecnica che i nostri avevano già adottato nella lunga suite “A Dangerous Journey”, che costituiva la metà esatta del disco precedente; anche musicalmente, in effetti, questo nuovo lavoro prende le mosse da lì.

Più che di una raccolta di canzoni, quindi, si tratta di un’unica composizione di 45 minuti, suddivisa in 10 tracce, che costituiscono altrettanti capitoli. Non c’è mai una forma canzone definita, i brani si sviluppano in maniera lineare seguendo la storia, con una continua alternanza di parti cantate e strumentali.

 

Niente di particolarmente complesso, comunque: le melodie sono sempre immediate, la band non ha mai fatto sfoggio di virtuosismi e non lo fa neppure adesso, limitando all’essenziale le divagazioni (la cadenzata “Mr. Tilly and His Gang” procede con stacchi elaborati, “The Feline Companion” ha una struttura piuttosto intricata, mentre in “Through a Rural Landscape” si avvertono echi Jazz) e preferendo concentrarsi sull’aspetto più diretto del proprio sound. Da questo punto di vista, a colpire sono soprattutto quei momenti dove affiora in superficie il lato Folk, con le atmosfere bucoliche di “Dreams in a Brougham” (dialogo tra flauto e chitarra acustica) e “Forgotten Qualities”, splendida ballata dal sapore contemplativo.

Non mancano tuttavia le accelerazioni e le parti più dirette, dove affiorano reminiscenze dei Ritual di Think Like a Mountain: “Chichikov Bogd” (che nella storia ha la funzione di flashback e che avevamo già ascoltato, in versione differente, sull’EP di quattro anni fa) ma anche “Read All About It!”, con il suo ritornello coinvolgente nell’alternanza tra coro e voce solista.

 

Un ritorno che ha del clamoroso, per il livello di ispirazione che questa band ha conservato dopo tutti questi anni di pausa. L’augurio, oltre a quello di ascoltare presto la seconda parte, è di vederli dal vivo: poche settimane fa si sono esibiti al famoso Prog Fest di Lorelei, in Germania, in quello che speriamo non fosse un evento sporadico. Nell’attesa, se non li conoscete, partite da qui e andate indietro ai vecchi lavori, perché i Ritual meritano decisamente di essere scoperti.