Tra i numerosi avvenimenti eclatanti della loro biografia ne isoliamo due, musicalmente fondamentali: la defezione di Brian Jones e l’abbandono di Mick Taylor. È risaputo che gli Stones valutarono a fondo come sostituirli e furono prese in esame diverse soluzioni. Cosa ci fu dietro quelle scelte? Cosa sarebbe successo se Taylor e Wood non fossero mai saliti a bordo della “Più Grande Rock Band del Mondo”?
Anno 1969
Già da un paio d’anni era chiaro che nella lotta intestina per il controllo del gruppo, Jones stava avendo la peggio: stagioni di eccessi e dipendenza da sostanze lo stavano distruggendo e il suo contributo alla band divenne sempre più marginale. Brian stesso cercava di ritagliarsi altri spazi, forse in uno strenuo tentativo di dissociare il suo nome dal resto del complesso. Fu un naufragio lento e tragicamente evidente agli occhi di tutti coloro che gravitavano nel music business britannico. Pochissimi lo aiutarono davvero.
Dopo l’uscita di Let it Bleed, nel giugno 1969 fu estromesso ufficialmente dal gruppo. Morirà appena un mese dopo in circostanze non limpide.
Se ne andò così non solo un membro fondatore del complesso, ma addirittura la sua prima e più lucida mente pensante. Brian Jones fu arrangiatore, produttore, polistrumentista e personaggio di totale avanguardia già nei primi anni ’60.
Ma i tempi stavano cambiando: Clapton e Bloomfield avevano inaugurato una nuova generazione di chitarristi eroici capaci di assoli eterni e pirotecnici: il mainstream si stava rapidamente adeguando e l’esordio di Hendrix scardinò definitivamente la frangia più commerciale della british invasion. Gli Stones avevano bisogno di ribadire la loro supremazia anche in questo momento e perciò la scelta di un nuovo solista fu fondamentale. I Beatles, che non riuscirono a cambiare faccia, scomparvero di lì a poco, spazzati via dalla corrente.
Ma allora chi imbarcare per inaugurare un nuovo corso? I casting sono aperti …
Luther Grosvenor
È l’enfant-prodige della nuova generazione: bello, sfrontato, pieno di feeling, ridondante negli effetti e nel volume, qualcosa tra Kossof e Ronson. Reduce da 2 album con gli Spooky Tooth (il secondo un capolavoro assoluto), un gruppo che va però sfaldandosi inesorabilmente. Agli Stones può dare una nuova carica, traendo linfa da territori anche lontani dal blues, magari proiettando il gruppo di Jagger verso nuovi orizzonti glam e multiformi. Ma attenzione: è una presenza scenica fortissima e debordante, tanto da potere mettere in ombra addirittura i leader indiscussi Jagger & Richards.
Ry Cooder
Un giramondo appassionato del blues più antico e rurale; è quasi di casa in quanto chitarrista e, forse, co-autore di un paio di brani di Let It Bleed. Cultura musicale sopraffina, musicista eclettico e preparatissimo, più a suo agio in territori acustici e retrò che nel tonante rock ‘n’ roll. Fu già nella prima incarnazione della Magic Band di Beefheart nel 1967: ne uscì, non condividendo la sterzata verso l’avanguardia del leader. Un elemento con cui gli Stones avrebbero potuto approfondire i blues aspri e antichi di Beggar’s Banquet, all’opposto di Grosvenor. Un artista, però, più adatto a lavorare da solo che come elemento stabile di un gruppo.
Alexis Korner
Vuole la leggenda che anche uno dei patriarchi del British Blues fu in odore di entrare nel gruppo. Sicuramente sarebbe stato un botto: Korner fu un po’ il padrino per il movimento Rock-Blues britannico e una sorta di “reunion” avrebbe attirato i riflettori sul gruppo. Non per molto però: i tempi cambiavano ed era necessario trovare altre voci.
Mick Taylor
Ennesimo pupillo di John Mayall con il quale aveva inciso Crusade nel 1967. Solista blues iper-classico: fluente, limpido e precisissimo, emulo di Clapton ma aperto a contaminazioni rock e country e, soprattutto, molto efficace dal vivo. Una presenza discreta, finanche timida (magari anche troppo...) fuori e dentro la ribalta: tutto sommato un giovane pronto per il grande salto.
Vi erano in giro elementi del calibro di Dick Taylor, già in una prima embrionale versione degli Stones, o addirittura Peter Green, il mistico solista dei Fleetwood Mac, entrambi in crisi aperta con i rispettivi gruppi. Oltre ogni fantasia immaginare il chitarrista dei Fleetwood assieme a Jagger & Richards: un mix di spiritualità, decadenza e Rock ‘n’ Roll come non si sarebbe mai visto. Dick Taylor avrebbe rappresentato invece un chiaro ritorno alle origini.
Per assegnare il posto vacante furono decisive le sessions per Let It Bleed dove si ritrovano assieme Cooder, Taylor e lo stesso Jones, ormai incapace di suonare altro all’infuori di un paio di bonghi.
La pista di Ry Cooder si raggelò presto a causa di contrasti sorti con Richards sull’attribuzione dei riff di “Country Honk”; Mick Taylor stesso suonò in quella canzone e anche in “Live With Me”. Ry proseguirà un’intesa carriera da solista, nonché da eccellente sideman, alla ricerca una profonda fusione tra blues, folk e rock. Non mancheranno per altro nuove occasioni di lavoro con Jagger & Co.
La possibilità di inserire in gruppo Alexis Korner sembrava più che altro una storiella messa in giro dallo stesso bluesman per riportare in auge il proprio nome in un momento in cui il blues stava rapidamente degenerando dal purismo originale. La via che portava a Grosvenor era senza dubbio stimolante: titolare di un sound spettacolare e molto originale, la giovane stella degli Spooky Tooth aveva trascorsi nella psichedelica e nel prog e sarebbe stata una scelta di rottura. La sua presenza scenica fortissima poteva convivere sullo stesso palco di Mr. Jagger?
Dal canto suo Mick Taylor aveva già annusato gli Stones agli Olympic Studios di Londra e, da protetto di John Mayall, era una garanzia. Fu lui a supportare il gruppo dal vivo nel concerto gratuito ad Hyde Park in memoria di Jones e fu subito chiaro chi sarebbe stato il prossimo solista della band nell’imminente tour americano. Taylor, ventenne, ebbe l’Occasione che Cambia la Vita e la colse al volo. Capelli biondi, viso angelico ma occhi timidissimi e perennemente bassi, per gli anni successivi parve scusarsi per quel colpo di fortuna così esagerato. Sul palco stava sempre un passo indietro rispetto ai leader e a volte anche rispetto ai riflettori. Con lui fu comunque grande musica: perfezione formale e sound in puro stile ’70; il suo assolo in “Simpathy for the Devil” su Get Yer Ya-Yas Out! è ancora oggi uno dei migliori fulmini chitarristici mai registrati live.
Eppure, questo suo non essere “Personaggio” ne compromise la carriera…