Capitanati dai fratelli Robinson (Chris alla voce e Rich alla chitarra) i Black Crowes muovono i primi passi ad Atlanta, in Georgia. E’ il 1984, si fanno chiamare Mr. Crowe’s Garden (nome che cambieranno in Black Crowes solo nel 1988), sono giovani, impertinenti e talentuosi, e sono nati per salvare il rock americano. Il debutto, Shake Your Money Maker, arriva nel 1990, grazie all’intuizione e poi alla supervisione del ventisettenne Rick Rubin, audace discografico, che con la sua etichetta Def American diventerà punto di riferimento per il rock a stelle e strisce degli anni ’90 (Danzing, RHCP, Johnny Cash, Slayer, etc etc).
D’altra parte, ci vuole coraggio a credere nei Black Crowes, in anni in cui imperversano crossover e grunge: Shake Your Money Maker è, infatti, un disco demodè, che pesca dalla tradizione country, dal southern rock, dall’hard rock di matrice stonesiana e zeppeliniana (Live At The Greek del 2000 vedrà sul palco con la band anche il leggendario Jimmy Page), dal soul e dal gospel. Un lavoro anacronistico, eppure incredibilmente fresco, che in poche settimane vola al numero 4 delle charts statunitensi, con plauso unanime di pubblico e critica.
Battezzati subito come i salvatori della patria, i Black Crowes ritornano in studio nel gennaio del 1992 con parecchio materiale nuovo su cui lavorare (circa venticinque canzoni) e soprattutto un nuovo chitarrista, Marc Ford, che prende il posto di Jeff Cease e che porta all’interno della band un sound che si ispira in modo più marcato a Hendrix e agli Zep.
Potrebbe filare tutto liscio come l’olio, ma i due fratelli Robinson (i due classici galli nel pollaio) litigano che è un piacere. Rich vuole dare al disco un’impronta più blues, mentre Chris punta ad un suono più robusto, più virato verso l’hard rock. Quando iniziano le registrazioni di Sting Me, uno dei brani di punta dell’album, i due sono ai ferri corti: Chris colpisce Rich con un microfono, l’altro reagisce appendendo letteralmente il fratello al muro.
Tuttavia, nonostante i furibondi litigi e le canzoni che vengono più volte ritoccate, l’album vede la luce in otto giorni, praticamente un record, se si considera anche la qualità del materiale registrato. Il tempo di uscire nei negozi, e The Southern Harmony And Musical Companion schizza al primo posto delle classifiche, portando la band ad avere un notevole consenso di pubblico anche in Europa.
Merito di un suono carico di passione, filologicamente rispettoso della tradizione, dominato da solide chitarre e riff potenti e dalla voce graffiante di Chris Robinson. Un sound, che è al contempo vecchio e nuovo, che si ispira a quello degli Stones e che ammicca spesso e volentieri alla musica degli Allman Brothers Band (la celebre fotografia in copertina di Mark Seliger, scattata in una zona periferica di Atlanta fa il verso all’iconografia tradizionale della band di Greg e Duane), ma che in definitiva resta originale e inconfondibile, diventando in poco tempo un vero marchio di fabbrica.
Complice anche un filotto di canzoni stratosferiche che porterà The Southern Harmony And Musical Companion a essere considerato uno dei dischi più belli, ispirati e importanti del decennio. Dal rockaccio stonesiano e ritmato dell’iniziale Sting Me, alla cover in stile New Orleans di Time Will Tell di Bob Marley che chiude il disco, i Black Crowes inanellano una scaletta da capogiro: la ballata elettrica di Thorn In My Pride, il soul rock di Remedy, che scala le classifiche di mezzo mondo, il rock cialtrone e ruspante di No Speak, No Slave, le tonnellate di acido di Black Moon Creeping.
Un successo commerciale tanto inaspettato quanto clamoroso (prima piazza di Billboard 200) e un conseguente ottimo riscontro di critica, che porterà i Black Crowes non solo a essere considerati la salvezza di un genere che sembrava sul punto di essere definitivamente spazzato via dalla titanica avanzata dell'esercito del grunge, ma soprattutto a essere considerati gli eredi più titolati di autentiche leggende come Allman Brothers Band e Lynyrd Skynyrd.