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REVIEWSLE RECENSIONI
15/07/2019
The Soft Cavalry
The Soft Cavalry
The Soft Cavalry suona come un abbecedario sentimentale per anime romantiche, è un disco di pop fluttuante a mezz’aria fra malinconici e terreni languori, estatici barbagli di sole e spazi immensi su cui si poggia la quiete della notte

Sotto l’egida The Soft Cavalry si cela uno dei nomi più noti della scena indipendente britannica. Lei, infatti, altri non è che Rachel Goswell, mente pensante degli Slowdive, dei Mojave 3 e, dal 2015, anche del supergruppo dei Minor Victories. Insieme al marito, Steve Clarke, conosciuto nel 2014, quando costui faceva da tour manager proprio agli Slowdive, ha dato vita a questo nuovo progetto, per l’etichetta Bella Union di Simon Raymonde.

Un disco che pur differenziandosi, per certi versi, da tutta la produzione precedente della Goswell, in qualche modo ne rappresenta anche una summa, in cui confluiscono, in un contesto ispirato e originale, echi di dream pop, di folk e di rock. Canzoni pensate tempo fa da Clarke, dice la cronaca, ma che hanno potuto trovare poi piena realizzazione solo attraverso gli sforzi di questo connubio, amoroso e artistico, che ha saputo plasmare una materia nota con nuove idee e brillanti intuizioni.

The Soft Cavalry suona come un abbecedario sentimentale per anime romantiche, è un disco di pop fluttuante a mezz’aria fra malinconici e terreni languori, estatici barbagli di sole e spazi immensi su cui si poggia la quiete della notte. Dodici tracce in cui convivono elettronica e strumenti acustici, luce e penombra, intimismo e respiro universale, tele colorate e fotogrammi in bianco e nero, dolcezza, passione e pensieri dal retrogusto amarognolo.

Apre la scaletta lo sfarfallio trasognato di Dive, soave dream pop in purezza, a cui seguono le pose decadenti della superba Bulletproof, battito del cuore e sguardo languido sulla notte che evapora nelle prime luci dell’alba.

L’evanescenza ipnagogica di Passerby suggerisce una dimensione atemporale, quasi trascendente, in cui tutto è immateriale opalescenza. Un dormiveglia amniotico da cui ci si ridesta sulle note di The Velvet Fog, gonfia di umori romantici che vengono risucchiati in una melodia discendente di accordi in minore.

Una visione crepuscolare che si dissolve nella successiva Never Be Without You, pop leggiadro come un soffio di vento che lambisce distese colorate di fiori sotto il sole di un’estate gentile. La successiva, acustica Only In Dreams, accarezzata da uno splendido flauto, evoca Talk To The Wind dei King Crimson e chiosa una prima parte di disco semplicemente perfetta.

Appena un gradino sotto, le restanti sei canzoni, che restano comunque di un livello notevole: su tutte il pop acustico della gioiosa The Light That Shines On Everyone, il folk notturno e sgranato di Home, spazzato via da una repentina e rumorosa coda post rock e il minimalismo per spazi aperti della dolcissima Mountains.

Che si tratti di un’uscita estemporanea o di un progetto a lungo termine non è dato di sapere; quel che è certo è che i coniugi Goswell e Clarke hanno trovato la formula per far convivere i rispettivi talenti in una musica ispirata, dagli umori cangianti, densa di passione e formalmente stratificata. Un minutaggio meno eccessivo (la durata è di quasi un’ora) avrebbe forse dato maggior efficacia alla raccolta. Il risultato finale, però, è talmente positivo, che è del tutto inutile cavillare sulle sfumature.


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