Panta rei, sosteneva Eraclito, cioè, tutto scorre. Tutto cambia, costantemente, e l’universo è solo un alternarsi di opposti, di caldo e di freddo, di giorno e di notte, di vita e di morte. Una realtà inoppugnabile, che oggi sembra ancora più vera, se si considera la rapida evoluzione della tecnologia, l’impalpabile consistenza del virtuale, la velocità con cui mutano le opinioni, le mode, i giudizi della società.
Al loro terzo album, dal titolo emblematico (The Shape Of Fluidity, “la forma della fluidità”) gli olandesi Dool (nome che in lingua madre significa “vagare”) affrontano i temi del cambiamento personale, fisico e psicologico, di fronte a questo mondo in continua evoluzione. Un tema caro, in particolare, alla cantante e chitarrista Raven van Dorst, che dopo essere nata ermafrodita, fu sottoposta alla rimozione degli organi genitali maschili da parte di un medico che, con l’assenso dei genitori, presumeva di poter determinare chirurgicamente quale tipo di vita il bambino avrebbe dovuto condurre, decidendo che sarebbe stata una femmina. Quando, divenuta adulta, Raven ha scoperto l’inganno, è caduta in un lungo periodo di prostrazione, caratterizzato dalla ricerca dell’io interiore, dalla lotta contro i tabù e l’ipocrisia della società, fino a decidere recentemente di rivendicare ciò che gli altri hanno cercato così insensatamente di portarle via, abbracciando infine la sua vera natura ermafrodita.
Ecco allora il senso di un disco che, liricamente, si pone mille domande: in che modo il cambiamento ci influenza? Come continuare a essere noi stessi in un mondo così incredibilmente esigente e aggressivo nei confronti dell'individuo (e del diverso)? La risposta risiede nella necessità di essere fluidi, liquidi come l’acqua, per navigare attraverso questo oceano di incertezze e brutalità, per dominare il caos, per far fronte alla nostra impermanenza e alla nostra caducità.
Musicalmente, l’album riflette i concetti appena espressi, le canzoni mostrano un’anima eclettica ma senza soluzione di continuità, i generi si susseguono, anche nello stesso brano, in un connubio suggestivo in cui convivono gothic rock, post punk, post rock, progressive, metal e scorie doom.
The Shape Of Fluidity è un disco con le chitarre, che, talvolta, ergono autentici muri ad alto voltaggio, in altri casi, spingono rapidi attraverso riff muscolari, più spesso, giocano su intrecci e stratificazioni, dando vita a uno sfondo tanto complesso quanto dinamico. Non solo: questo è un disco dalla grande orecchiabilità, il cui impianto melodico, sempre presente, evita però soluzioni ruffiane e banali, preferendo restare immerso nella luce fioca, ma suggestiva, del crepuscolo, o nelle più cupe trame della notte.
Apre la scaletta "Venus In Flames" e sembra di ascoltare i Placebo con l’armatura, complice anche il timbro di Raven: un brano dallo sviluppo complesso, un’entusiasmante collisione tra una cavalcata epica, feroce, quasi brutale, e momenti più rallentati in cui prevale una visione di oscura malinconia, tra richiami post punk e post rock. Anche la successiva "Self Dissect" evoca la band di Brian Molko, come fosse una "Pure Morning" forgiata nello viluppo incandescente della fiamma, così come la conclusiva "The Hand Of Creation", la cui ritmica marziale, l’incedere tenebroso e gli accordi in minore del ritornello ne fanno il brano più post punk del lotto.
La title track rappresenta al meglio la fluidità della proposta dei Dool: parte morbida e trasognata, prima che il brano si apra a uno sconquasso djent, per svelare poi la sua autentica natura di ballata dalla scintillante melodia gravida di pathos e di umori malinconici.
Pur in un contesto di straordinaria omogeneità di suoni, il disco svela anime diverse, attraverso la breve, cupa e strumentale "Currents", nelle accelerazioni vertiginose di "Evil In You", negli effluvi settantiani in odore di occult rock della nostalgica "House Of Thousand Dreams", nelle scorie doom che sporcano la tensione melodica di "Hymn For A Memory Lost".
I Dool continuano il percorso tracciato nelle loro due precedenti registrazioni in studio, pur mostrando una maturità e una concentrazione nella scrittura di canzoni che sono cresciute grazie al fieno dell’esperienza messo in cascina. C’è un maggior sforzo collettivo che unisce il songwriting del trio composto dalla van Dorst e dei chitarristi Nick Polak e Omar Iskandr, ma anche un approccio testuale molto più personale, e capace comunque di rendersi universale.
I testi di The Shape Of Fluidity , infatti, possono essere facilmente letti come storie comuni sulla ricerca di se stessi, sul nuotare contro corrente e sull’affrontare il mondo a testa alta, argomenti, questi, che riguardano tutti, anche chi, a differenza di Raven, è certo del genere a cui appartiene. Il risultato è un disco vario e fascinoso, un sali scendi emotivo che, prima, spiazza e, poi, conquista l’ascoltatore, grazie a nove canzoni che lasceranno il segno.