Cerca

logo
REVIEWSLE RECENSIONI
04/03/2021
Cloud Nothings
The Shadow I Remember
Se nelle ultime prove il loro songwriting si era fatto più conciso, il suono più pulito e meno abrasivo, la dimensione Pop più in evidenza a discapito di quella più rumorosa e hardcore, l’idea a questo giro è proprio quella di tornare a composizioni più ruvide e libere nella forma.

I Cloud Nothings sono una di quelle band che sta iniziando ad usare seriamente Bandcamp in alternativa a Spotify, pubblicando registrazioni di concerti, Ep esclusivi a sottoscrizione e addirittura un disco, il precedente “The Black Hole Understands”, uscito solo su quella piattaforma. Cominciassero a farlo in molti, il futuro della musica in streaming potrebbe forse essere diverso e cominciare ad emanciparsi da certi meccanismi monopolistici.

“The Shadow I Remember” continua la tradizionale prolificità del gruppo di Cleveland, che da “Life Without Sound” in avanti ha praticamente sempre pubblicato un album all’anno. La narrativa di questa ottava prova in studio per Dylan Baldi e soci ruota attorno al mito del ritorno alle origini. Che nel loro caso, significa  Chicago, agli Electrical Audio Studios di Steve Albini, con cui avevano registrato “Attack On Memory”, il disco che nel 2012 li rivelò al mondo.

E se nelle ultime prove il loro songwriting si era fatto più conciso, il suono più pulito e meno abrasivo, la dimensione Pop più in evidenza a discapito di quella più rumorosa e hardcore, l’idea a questo giro è proprio quella di tornare a composizioni più ruvide e libere nella forma.

Da questo punto di vista, Dylan Baldi è tornato a lavorare in camera sua, come faceva agli esordi, producendo tonnellate di idee su demotape, le migliori delle quali sono state in seguito elaborate assieme al gruppo. Steve Albini ha poi contribuito di suo, permettendo alla band di sfogarsi in studio, suonando assieme come fossero sul palco e tirando fuori tutta l’energia possibile.

Il risultato è una sorta via di mezzo tra vecchio e nuovo. Indubbiamente la produzione è ruvida e l’impronta generale del sound è tornata all’aggressività dei primi tempi, la voce di Baldi graffia molto di più, è tornato al timbro sporco che lo ha sempre contraddistinto, dopo che soprattutto nel disco precedente aveva provato a cantare in modo più pulito. Ci sono tanti pezzi in cui la band si diverte a dilatare i finali, accelerando e liberando la potenza esplosiva dei riff, brani come “The Spirit Of” e “Only Light” o anche “Oslo”, col suo break centrale e la sua coda rumorosa, ne costituiscono dei perfetti esempi, si nota anche come il drumming di Jayson Gerycz sia tornato in primo piano e sia assolutamente essenziale nell’economia del gruppo.

In generale comunque, il quartetto rimane focalizzato sulla forma canzone e non abbandona la ricerca della melodia perfetta, in una efficace sintesi di potenza e drammaticità. Un brano come “Nothing Without You” ne è uno degli esempi migliori: tirata fino allo spasimo, ritornello da cantare a squarciagola (c’è un’ospitata dietro il microfono di Macie Stewart degli Ohmme) ma con una tastiera a punteggiare discreta le sfuriate chitarristiche di Chris Brown e dello stesso Dylan.

E poi qualche sperimentazione in più sul fronte elettronico, con il compositore Brett Naucke ad aggiungere una sfumatura oscura ad “Oslo” e alla conclusiva “A Longer Moon”.

Con un Dylan Baldi sempre ispiratissimo nei testi, dove riflette sul trascorrere del tempo (“Am I older now/Or am I just another age”) e sul suo posto nel mondo, nell’incessante bisogno di qualcuno da poter amare (“Does anybody living out there really need me?” canta nella strepitosa “Am I Something”, in un finale tiratissimo e decisamente da brividi).

Un disco che stempera la furia nichilista degli esordi e mostra una band più pacificata ma sempre in tensione. Un disco di ombre che, come dice il titolo, potrebbero anche appartenere al passato, il parco in un giorno piovoso ritratto nella copertina a fungere da simbolo perfetto per quello che il gruppo ha voluto comunicare: sulla soglia di un nuovo inizio, a domandarsi se troverà la forza di lasciarsi indietro le vecchie paure. Non il migliore della loro produzione ma abbastanza bello per farci continuare a dire che, nel mettere assieme potenza e melodia, c’è davvero poco al loro livello.


TAGS: CloudNothings | loudd | lucafranceschini | recensione | review | TheShadowIremember