La svolta nella carriera degli scozzesi Idlewild ha inizio nel 2000, quando la band capitanata da Roddy Woomble pubblica 100 Broken Windows, il disco che li avvicina al grande pubblico e attraverso il quale, smorzando le ingenuità e le asperità degli esordi, viene definito un suono, quello di una band ormai matura, ispirata e consapevole, capace di far convivere all’interno della stessa scaletta melodie innodiche, ritornelli di facile presa, mood malinconico, la forza centrifuga di chitarroni arrembanti e distorti, e furore rumoristico.Un primo, importante paso verso la maturità artistica, che troverà ulteriore e nuova linfa nel successivo, e più noto, The Remote Part.
A metà 2001, la band, affiancata dal fido produttore Dave Eringa, si ritira sull’altipiano scozzese, in un cottage a Inchnadamph, Sutherland, dove ha inizio un lungo processo di scrittura, che li tiene lontani dai palcoscenici e li costringe a sfibranti sessioni di registrazione e missaggio. Uno sforzo, questo, ampiamente ripagato dai numeri, visto che The Remote Part diviene il loro successo commerciale più importante: il primo singolo estratto dall'album, You Held the World in Your Arms, entra nella UK Singles Chart al numero nove, il disco scala le classifiche degli album fino al numero tre, diventa disco d'oro nel Regno Unito e spinge la band verso ben altri palcoscenici, dal momento che gli Idlewild iniziano un tour europeo a fianco dei Colplay, gli enfant prodige del pop rock britannico. Ed è proprio alla band capitana da Chris Martin che gli Idlewild vengono talvolta accostati, almeno per la capacità di estrarre dallo sconquasso chitarristico melodie irresistibili, che seducono per ardore romantico e giovanilistico.
The Remote Part, dicevamo, perfeziona il linguaggio del suo predecessore, sceglie spesso la strada della ballata (in 100 Broken Windows c’era la sola The Bronze Medal), esalta l’inclinazione melodica della band e leviga il suono, limando certe ruvidezze alternative. Attenzione, però, non si tratta di una svolta mainstream o di un tradimento all’ingenua onestà dei primi lavori, semplicemente la band è consapevole delle armi a disposizione e della capacità di creare un equilibrio perfetto tra rumore e melodia. Non vengono meno, quindi, né ardore né energia, l’attitudine punk, le sfuriate noise, i riferimenti stilistici (quella passionaccia per i REM che continua a contraddistinguere il songwriting di Woomble) sono gli stessi, ma tutto risulta più misurato, non trattenuto, ma decisamente più equilibrato.
You Held The World In Your Arms è un opener potente, un crescente intreccio di archi e chitarra, che si sovrappongono a vicenda sul tiro galoppante della batteria, mentre Woomble si chiede: "E se avessi il mondo tra le braccia stasera? È come se la tua vita non fosse cambiata, ed è in ritardo di tre anni, quindi come ci si sente ad essere in ritardo di tre anni?". Domande che rispecchiano il nuovo corso, che si soffermano sul successo e la sua caducità, sulla necessità di cambiare per potersi evolvere e raggiungere i propri sogni.
Che gli Idlewild, però, siano ancora capaci di far sanguinare le orecchie dell’ascoltatore lo si capisce con la successiva A Modern Way Of Letting Go, una fucilata a bruciapelo che mette in bella mostra l’attitudine punk della band scozzese.
La quale, dimostra la propria capacità di affascinare anche quando abbassa il tiro e cerca la strada della ballata e della melodia: American English è un accattivante mise in place del suono Coldplay, romantica e furbetta, e il giro di basso che apre I Never Wanted conduce con eleganza a uno dei più riusciti ritornelli della premiata ditta, note da cantare a squarciagola sotto il palco con il cuore traboccante di malinconia.
L’impatto chitarristico diviene ancora protagonista in I Am (What I Am Not), travolgente e sferragliante, anche se priva di vera sostanza, e nell’urlo appassionato, quasi tribale, di Out Of Routine, figlia alla lontana di certo furibondo celtic punk.
Un saliscendi emotivo, tra melodie memorabili e scalciante irruenza perfettamente equilibrate, che emerge ancor di più nella seconda parte del disco. Il pianoforte che punteggia l’incedere cupo di Century After Century e il romanticismo pop folk di Tell Me Ten Words sono gioiellini levigati dalle mani di una band in stato di grazia, e conducono alla vetta del disco rappresentata dalle due canzoni conclusive.
Il drumming infuocato, l’appassionato canto di Woomble, il basso pulsante, che regge l’impalcatura per chitarre crude e sfacciatamente elettriche, e il ritornello irresistibile fanno di Stay The Same il manifesto sonoro della band, un biglietto da visita di tre minuti e dieci secondi di quella pura energia per cui gli Idlewild si sono conquistati un posto nella storia del rock alternative britannico.
Chiude la scaletta l’affascinante The Remote Part/Scottish Fiction, ove compare il poeta scozzese Edwin Morgan (amico di Woomble), che nel finale di canzone recita una poesia (Scottish Fiction) scritta appositamente per l’album. Un brano che inizia come una sorta di lamento folk, un velluto acustico che parla del passare del tempo e dell’impossibilità di tenerne il passo, e che tocca il cuore con quel verso romantico “So I’ll wait ‘til I find the remote part of your heart/Nowhere else will let us choose a comfortable start”, con cui Woomble riesce a cristallizzare l’attimo nell’impetuoso scorrere dei giorni. Poi, all’improvviso, l'impianto elettrico viene riacceso e le chitarre si librano sopra il timbro spezzato e invecchiato di Edwin Morgan, mentre legge, ad alta voce, come un antico bardo, della passione creativa che vive, respira e che costituisce la forza propulsiva di un condiviso spirito scozzese. Una canzone pervasa di ancestrale epos, in cui gli Idlewild riescono a incanalare tutta la passione che provano per la loro terra d’origine, sentimento, questo, che permea l’intero disco e fa degli Idlewild una band orgogliosamente scozzese, difficile da ignorare e dannatamente accattivante.