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TRACKSSOUNDIAMOLE ANCORA
The Pretender
Jackson Browne
1976  (Asylum)
ROCK POP
all TRACKS
01/04/2024
Jackson Browne
The Pretender
Una canzone ambivalente, che omaggia la generazione di sognatori cresciuta con i valori del '68, ma anche una mordente critica a chi ha rinunciato ai propri ideali in nome della stabilità economica o finge di essere felice in un mondo che, in realtè, non gli appartiene

Ultima traccia dall’omonimo quarto album (1976) di Jackson Browne, The Pretender parla di un uomo che rinuncia ai suoi sogni e vive una vita monotona e di routine per accumulare denaro. “Il pretendente” sceglie la strada più semplice, quella con meno rischi, rinuncia alla bellezza del mondo per costruirsi solide basi, in nome della sicurezza.

E’ questo il significato principale di una canzone bellissima, che però si apre a diversi piani di lettura e a ben diverse implicazioni. Browne è sempre stato un abile songwriter, capace di spingere in profondità le sue liriche, di porsi domande a cui dare risposte, di giocare con l’ambiguità in modo da avere una visione più ampia possibile delle cose della vita. In tal senso, The Pretender rappresenta due diversi approcci esistenziali: è quella persona presente in tutti noi, che segue i propri ideali, ma è anche il suo opposto, quella che, invece, ha accettato un compromesso, perché, come diceva Truffaut, “c'è il film che avevi intenzione di fare, e c'è quello per cui ti accontenti”.

A volerne ampliare ulteriormente il significato, The Pretender parla anche dell'idealismo degli anni '60, dell'idea che la vita sia fatta di amore e fratellanza, giustizia, cambiamento sociale e illuminazione. Questi concetti hanno cresciuto un’intera generazione, la generazione di Browne, ma tutti quegli ideali, poi, sono come evaporati di fronte alla cruda realtà dell’esistenza. Quella generazione, alla fine si è accontenta di qualcosa di completamente diverso, di sogni di piccolo cabotaggio, e quel verso, "Say A Prayer For The Pretender”, da un lato, rappresenta un omaggio a quei giovani sognatori, dall’altro punta il dito ironicamente su quelle persone che hanno cercato di minimizzare quell’idealismo.

C’è di più. Browne scrisse il brano dopo essersi preso cura di un ragazzo affetto da schizofrenia. Il ragazzo un giorno scomparve, e Browne si mise alla sua ricerca. Lo trovò ore dopo seduto nel soggiorno di una famiglia latina, che fumava una sigaretta e si comportava come se appartenesse a quel posto, come se non ci fosse niente di sbagliato a trovarsi lì. Stava fingendo, fingendo di appartenere. The Pretender prende, dunque, spunto da questo episodio, che spinse il songwriter californiano a riflettere sul fatto che spesso molti di noi stanno fingendo di essere in sintonia con qualcosa che non è esattamente il posto a cui appartengono, ma solo una versione predefinita della realtà, con un lavoro e una casa, ma senza sogni.

La canzone, che vede la presenza di Graham Nash e David Crosby alle armonie vocali, e Jeff Porcaro (poi nei Toto) alla batteria, venne realizzata in un momento complicatissimo per Browne. Dopo aver dato alla luce il figlio Ethan nel 1973, Phyllis Major, che il musicista sposò nel 1975, cadde, infatti, in depressione e morì suicida nel marzo 1976. Browne visse giorni di dolorosa prostrazione (che influirono sulle tematiche del disco) e interruppe il lavoro sull'album per alcuni mesi, anche se, poi, riuscì a finirlo in tempo per la pubblicazione, avvenuta a novembre dello stesso anno, grazie anche a un approccio per lui inusuale.

Browne, infatti, aveva un'idea molto chiara di come voleva che suonassero le sue canzoni, e, pertanto, ha sempre vestito i panni del produttore per suoi primi tre album. Per The Pretender, però, cambiò completamente rotta e arruolò il produttore di Bruce Springsteen, Jon Landau, dopo essersi convinto che avere “un altro paio di orecchie” in studio, avrebbe dato frutti migliori, e gli avrebbe permesso, soprattutto, di prendere un po’ le distanze dalla materia delicata e intimista che trattavano quelle canzoni.

E’ inevitabile, a questo punto, un paragone con un altro grande classico che porta quasi lo stesso titolo: l’evergreen doo-wop del 1956 The Great Pretender interpretato dai Platters. Anche se in quella canzone, il tema è il lutto sentimentale, concettualmente il brano esprime qualcosa di molto vicino a quello che avrebbe inteso Browne vent’anni dopo: il protagonista di The Great Pretender finge di stare bene, ma sta solo nascondendo il proprio dolore, perché distrutto dal crepacuore per l’abbandono dell’amata: “Rido e sono allegro come un clown, Mi sembra di essere quello che non sono, Indosso il mio cuore come una corona, fingendo che tu sia ancora in giro. Troppo reale è questa sensazione di finzione”.