C’era una volta (e c’è tuttora) un gruppo musicale di culto della scena neofolk italica (e non solo): gli Ataraxia, nella cui amalgama sonora l’elemento percussivo era svolto da un batterista, Riccardo Spiaggiari che, ad un certo punto (come potrete leggere nell’intervista) ha deciso di muoversi verso il mondo elettronico, esplorandone le diverse sfaccettature e situando il suo progetto musicale in una terra di confine, dove l’ambient si sposa con impulsi ritmici, chitarre shoegaze e lande sonore proprie del post-rock.
Poiché ogni cambiamento importante in tutti i campi della vita personale e sociale di una persona richiede comunque un impegno e uno sforzo non comune, ho sempre ritenuto che chi sente un’esigenza di rimettersi in gioco lo faccia sulla base di un’esigenza espressiva che risulta sempre apprezzabile.
Sulla base di queste premesse l’arrivo di questo disco ha mosso la mia curiosità e così, ascolto dopo ascolto, ho potuto apprezzare la bellezza di Passage of Time.
Premetto subito che si tratta di una musica che richiede un ascolto profondo per cogliere tutte le stratificazioni sonore da cui risultano intrecciate le texture musicali ma, al contempo, la trovo una musica lontana da teorizzazioni intellettuali che, molte volte nell’ambito elettronico, rendono astrusa sia l’esecuzione sia la relativa fruizione.
Rispetto alla precedente trilogia iniziata con Adrift, proseguita con Backlit e conclusasi con Constellations, dove risultava maggiormente predominante una nota post-rock, con il nuovo album Spiaggiari si orienta verso una dimensione maggiormente immersiva, basata su sequencer e musica generativa, proiettando la propria arte sonora verso lidi ambient che, tuttavia, risultano sorretti da una ritmica mid-tempo che permette, in modo naturale, al suono di svilupparsi armonicamente.
Da questo punto di vista, i sei brani presenti nell’album, pur mantenendo una propria specificità, fluiscono sinuosamente dalla strumentazione per giungere, attraverso una percezione di natura quasi cinematografica, nella psiche dell’ascoltatore.
Passage of time è musica per viaggi mentali, dove l’ondeggiare delle tastiere ricorda il movimento dei salici attraversati da rivoli di vento, ai margini di corsi d’acqua dove la corrente corre intorno ai massi, per poi sfociare e rigenerarsi nelle onde del mare raffigurato in copertina.
Sarà che l’ascolto del disco è stato contemporaneo alla visita della bella mostra presente al Museo di Santa Giulia a Brescia di un maestro della fotografia quale è Franco Fontana, ma la musica di Cosmos in Collision pare proprio la colonna sonora perfetta per la sezione della mostra dedicata al tema del paesaggio, e in particolare alle fotografie delle linee d’orizzonte dei paesaggi marini, presenti in mostra così come sull'evocativa copertina del disco.
L'album si trova solo in streaming su tutte le principali piattaforme, ma ora la parola al diretto interessato, che ci permette di gettare un occhio al suo atelier di musicista.
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Ciao Riccardo, piacere di conoscerti, iniziamo subito con una domanda “scomoda”. Dopo essere stato per un lunghissimo tempo un membro degli Ataraxia (gruppo di culto del nostro paese, con molte incisioni sullo stile neofolk, fortemente influenzato dalla musica medievale, per ricordare un disco su tutti Suenos, ndt) cosa ti ha spinto ad iniziare questa nuova avventura, peraltro, “abbandonando” il tuo strumento prediletto, ovvero la batteria, a favore dell’elettronica? Cosa ha spinto, in sintesi, Riccardo, a creare Cosmos in Collision?
Ciao Stefano, piacere mio. La creazione di Cosmos in Collision è stata un’esigenza creativa per potermi esprimere in linguaggi differenti rispetto a quello prettamente ritmico. Il progetto, che ormai ha 10 anni, è nato parallelamente alla mia carriera di batterista, che comunque sta continuando con un’altra band. A casa, non potendo suonare la batteria, ho allestito un piccolo studio e ho iniziato a fare i primi esperimenti con i synth, a registrare le mie idee e ad imparare i software di produzione musicale. Pian piano da queste sperimentazioni notturne ha preso forma Cosmos in Collision.
Nel flyer di presentazione, The Passage of time viene presentato come un resoconto delle tue esplorazioni nell’elettronica di matrice ambientale, altresì ispirato alle sonorità post rock e shoegaze. Personalmente ho trovato questo ultimo disco molto più “atmosferico” rispetto alle produzioni precedenti, penso in particolare all’ultimo album Constellations, nel senso che il suono si presenta più “rarefatto”; c’è una volontà ancora più marcata di creare un suono “immersivo” tipico della musica ambient?
La tua lettura è corretta, con Constellations ho chiuso una trilogia iniziata con Adrift e proseguita con Backlit. In questi tre dischi le atmosfere e le tecniche compositive sono abbastanza simili. Nella produzione di The Passage of time, pur mantenendo gli stessi riferimenti musicali, ho iniziato ad interessarmi ai sequencer e alla musica generativa, questo mi ha portato ad un diverso approccio compositivo e a lasciare sullo sfondo i rimandi al post-rock e allo shoegaze, rafforzando invece la componente più ambient/elettronica. Questo ha portato ad un suono più dilatato e rarefatto, senza però rinunciare ad una componente ritmica ben definita e strutturata.
Parliamo un attimo del titolo dell’album e delle ragioni che sottendono allo stesso. Personalmente penso che il passare del tempo sia oggettivo, mentre il fluire dello stesso, a livello di coscienza personale, no. Ognuno di noi, infatti, penso potrebbe nitidamente ricordare degli attimi decisivi della sua vita, come se fossero accaduti da poco, mentre di molti altri se ne perdono le tracce, cosa ne pensi?
L’ispirazione principale nella composizione di The Passage of Time è stata il fluire del tempo e la diversa percezione di questo. Nell’antichità i Greci utilizzavano termini diversi per definire il tempo: Chronos per indicare la natura quantitativa del tempo, quindi il tempo cronologico e sequenziale; Kairos era utilizzato per indicarne un periodo di tempo indeterminato nel quale qualcosa accade, quindi una concezione del tempo qualitativa, soggettiva e indeterminata; Aion si riferisce invece al tempo eterno, trascendente e assoluto, legato alla durata della vita umana. Questi concetti sono stati una fonte di inspirazione per la stesura delle composizioni del disco e sono anche i titoli delle prime tre tracce del disco.
Esiste un luogo comune per cui chiunque potrebbe essere in grado di fare musica elettronica: basta mettere in loop una sequenza musicale, poi il setting machine farebbe tutto il resto. Ascoltando la tua musica mi pare invece evidente che esista una personale ricerca volta alla creazione di una stratificazione di suoni e una puntuale programmazione di drumming a sostegno. Cosa pensi al riguardo? Che strumentazione utilizzi per la realizzazione delle tue produzioni?
Eh, il tasto “make music” ancora non esiste (forse), e poi ci si perderebbe tutto il divertimento! Tutte le mie produzioni sono realizzate nel mio piccolo studio casalingo con Ableton Live e curo personalmente tutti gli aspetti fino al mastering finale. Non essere vincolato ad uno studio o a una band mi permette di comporre senza troppi limiti, senza scadenze e solo quando mi sento ispirato. Per me la fase creativa di composizione è la parte più interessante di Cosmos in Collision, di solito inizio da una melodia o da una sequenza di accordi che formano il nucleo di base, il quale successivamente viene sviluppato ed espanso con stratificazioni di vari strumenti. Nella fase di arrangiamento tendo invece a lavorare per sottrazione, andando a valutare chirurgicamente quanto registrato per eliminare le parti che non sono effettivamente necessarie. Principalmente per comporre utilizzo una serie di synth, sia hardware che software, e una chitarra il cui suono è talmente effettato che non è quasi distinguibile da un synth. Paradossalmente l’unico strumento che non suono è la batteria che programmo direttamente con il sequencer di Ableton.
La tua musica richiede un ascolto profondo, ovvero mi sembra più vocata ad una fruizione intra moenia, quindi immagino che sia penalizzata, da questo punto di vista, la dimensione live. Si tratta di una naturale e inevitabile conseguenza del tuo fare musica, che si situa in una mix-zone tra l’ambient ed il post-rock, oppure riesci comunque a garantire al progetto Cosmos in Collision una attività concertistica?
Suonando da solo la dimensione live è sicuramente penalizzata ed è un compromesso tra parti suonate live, utilizzo di sequencer e loop preregistrati. Ho sviluppato un live-set che comprende una serie di synth suonati da me e tramite sequencer. Per il lancio di loop e sequenze utilizzo Ableton Live e un controller dedicato. Come Cosmos in Collision ho fatto pochi concerti, un po’perché per questo progetto il contesto live è la parte che mi interessa di meno, ma anche perché fatico a trovare situazioni in cui poter proporre questo tipo di sonorità. La mia musica è un ibrido, spesso considerata troppo elettronica per contesti “rock”, ma non è neanche la classica musica elettronica da club perché molto ambient.
The Passage of time viene pubblicato da Sun Sea Sky Productions, solo in versione digitale, quali sono le ragioni che ti hanno spinto “così lontano”? E, infine, quali sono i tuoi programmi futuri?
Sin dal primo disco mi sono indirizzato a etichette estere (due americane e due inglesi) perché hanno pubblicato dischi che mi piacevano e con un sound attinente al mio, quindi per me è stato naturale proporre a loro le mie produzioni. The Passage of time è il mio debutto su Sun Sea Sky Productions e abbiamo optato per una release solo digitale, se le cose andranno bene il prossimo disco uscirà anche su supporto fisico. Come progetto futuro non mi dispiacerebbe lavorare ad una colonna sonora.