The Other Side è il classico disco che farà storcere il naso ai puristi del country, quelli per cui (quasi) tutto ciò che arriva da Nashville è il male assoluto, l’odiata antitesi di ciò che costituisce la veracità e la purezza del genere. Posizione spesso condivisibile, ci mancherebbe, anche se talvolta, come è inevitabile, ci si trova di fronte a eccezioni piacevolissime che confermano la regola.
E’ il caso di questo esordio delle Maybe April, duo composto da Katy Bishop e Alaina Stacey (Kristen Castro, terza componente originaria ha lasciato la band a febbraio di quest’anno) con all’attivo finora solo un Ep e un importante attività concertistica, che le ha vista aprire i live act di gente del calibro di Brandy Clark e Sarah Jarosz.
The Other Side, meglio chiarire subito, è un disco più pop (acustico) che country, in cui l’elemento roots è dato dall’utilizzo di strumenti tradizionali (banjo, chitarra acustica, mandolino, violino). Come delle Pistlol Annies o delle Dixie Chicks svolazzanti in una temperata brezza primaverile, le Maybe April costruisco le loro canzoni giocandosi le carte migliori sulle armonie vocali e su melodie, leggere, fresche e di facilissima presa emotiva.
Eppure, nonostante canzoni che trovano il loro habitat naturale nei passaggi radiofonici, le due ragazze mettono insieme anche delle liriche niente affatto banali: niente testosterone, pick up, alcool o polvere, ma storie di vita vera e di relazioni interpersonali raccontate da un appassionato e sofferto punto di vista femminile. Così, nell’iniziale Thruth Is, una melodia smaccatamente bubblegum pop, creata sull’interazione fra chitarra e mandolino, si contrappone a un testo diretto e pungente e allo sguardo cinico su un’attrazione unilaterale che non andrà mai in porto (“La verità è che non penso a te, non vedo il tuo viso in tutti gli estranei che incontro per strada”; e ancora: “La verità è solo una bugia che racconti a te stessa fin quando non diventa vera”). Lo stesso accade, ad esempio, nella malinconica Same Story, Different Scars, storia di un padre licenziato, che si ferma a bere un drink prima di tornare a casa e dare la notizia alla moglie e al figlio di quattro anni (“Tutti voliamo. Cadiamo tutti. Abbiamo tutti le stesse storie, con cicatrici diverse”).
C’è intelligenza e sensibilità in queste canzoni, che non saranno country fino in fondo, ma conoscono la forza di melodie luminose e il giocoso trasporto di due voci perfettamente in simbiosi. Così, nonostante la smaccata leggerezza di questa musica (o forse proprio per quella) è impossibile resistere a canzoni come Need You Now o You Were My Young, che entrano in testa al primo ascolto e finiscono per restarci a lungo.