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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
11/11/2024
Live Report
The Necks + Spiralis Aurea, 09/11/2024, Spazio Nòva, Novara
Il Novara Jazz Festival va solo ringraziato per averci preparato una serata così: con i bravissimi Spiralis Aurea Trio a non lasciare nulla al caso e con i monumentali The Necks, che hanno regalato improvvisazioni incredibili guidati solo da quella sorta di telepatia che solo chi suona insieme da così tanto tempo può essere in grado di esercitare. Incanto.

Negli anni il Novara Jazz si è guadagnato una fama di evento di primissimo livello tra gli amanti del genere, sia che si parli della sua declinazione più classica, sia delle forme più variamente contaminate.

Tra gli appuntamenti più importanti di questa leg autunnale della rassegna c’è indubbiamente questa dell’accoppiata The Necks/Spiralis Aurea, due proposte radicalmente diverse, accomunate tuttavia dalla volontà di ricerca dei suoi protagonisti.

 

Spiralis Aurea Trio è una delle tante incarnazioni del progetto di Stefano Pilia, conosciuto soprattutto per il suo lavoro con Massimo Volume e Afterhours, ma anche membro fisso della band di Rokia Traoré, più una marea di altre collaborazioni. Con lui questa sera ci sono Alessandra Novaga, attiva nel mondo dell’improvvisazione e autrice di alcuni pregevoli dischi solisti. Completa la formazione Adrian Utley, che oltre ad essere stato un membro dei Portishead, ha dalla sua tutta una serie di registrazioni con nomi di primo piano (Jeff Beck, Marilyn Manson, Torres, Perfume Genius, Marianne Faithfull, solo per dirne alcuni) ed una serie di progetti di musica più sperimentale e di ricerca.

Spiralis Aurea Trio è uscito a gennaio e di fatto il concerto prende le mosse da queste composizioni, anche se nel corso del set troverà spazio anche un brano composto da Utley (tutti gli altri sono invece frutto della mano di Pilia) suonato per la prima volta solo qualche sera prima a Bristol.

I tre suonano seduti, ciascuno con il proprio leggio davanti, a significare che in queste esecuzioni nulla è lasciato al caso, nonostante la forma dilatata ed il carattere libero delle stesse possa far credere il contrario. Le tre chitarre elettriche lavorano insieme ma raramente si tratta di un intreccio tra parti soliste (accade una sola volta, ed è tutto un gioco minimale di frammenti, dove la melodia è ridotta al minimo); a farla da padrona sono più che altro i feedback, i tappeti sonori e le orchestrazioni, per una proposta che sa molto di astrattismo e risulta il più delle volte ostica.

 

Anche gli australiani Necks sono un trio ed anche loro portano avanti un discorso di avanguardia e sperimentazione ma, da 35 anni a questa parte, è l’improvvisazione a costituire l’essenza della loro proposta. Bleed, ultimo capitolo di una discografia che conta circa una ventina di titoli (vado a memoria) è l’ennesimo centro di una formazione che, operi per composizioni di durata contenuta o per lunghe suite, ha sempre offerto più di un motivo di stupore.

Guardarli al lavoro è come cercare di sorprendere l’erba mentre cresce: Chris Abrahams, sempre rigorosamente di spalle rispetto agli altri due, disegna brevi pennellate al pianoforte, mentre Lloyd Swanton gli risponde pacato al contrabbasso. Si tratta di pattern brevissimi, essenziali, su cui Tony Buck interviene solo in un secondo momento, dapprima accarezzando leggermente i piatti, poi spostandosi su tutto il drum kit, intessendo strutture leggere e sorprendentemente eleganti.

Vanno avanti così per lunghissimi minuti, apparentemente senza variazioni, per gran parte del tempo sembra non succedere nulla. Poi, all’improvviso, ti accorgi che la marea è salita, che il suono si è fatto più denso, che la batteria copre tutti gli spazi, il pianoforte sta disegnando vere e proprie melodie ipnotiche e circolari, mentre il contrabbasso adesso è suonato con l’archetto e fornisce un controcanto dinamico e a tratti quasi angoscioso. Dopo un po’ il ritmo accelera, diviene quasi vorticoso, un’urgenza a tratti inusuale per una formazione che preferisce lavorare su atmosfere più pacate.

Infine, così com’era iniziata, finisce: non spegnendosi a poco a poco ma fermandosi all’improvviso, non senza aver prima sottratto qualcosa alle varie stratificazioni (impressionante tra l’altro come riescano a riempire in questo modo essendo solo in tre e con strumenti “acustici”; il lavoro di Tony Buck, senza nulla togliere agli altri due, è davvero monumentale).

Quasi un’ora di improvvisazione senza mai guardarsi, guidati da una sorta di telepatia che solo chi suona insieme da così tanto tempo può essere in grado di esercitare. Ancora una volta i Necks hanno incantato, dimostrando di essere tra gli artisti migliori in circolazione in ambito di avanguardia.

Hanno detto che sono stati contenti di suonare qui per la prima volta e che sperano di tornare presto. Lo speriamo anche noi. Peccato solo per le dimensioni un po’ ridotte della sala (siamo sempre all’interno dello spazio Nova) e per una conformazione della stessa, che non hanno garantito una visione ottimale. Sono comunque dettagli: il Novara Jazz Festival va solo ringraziato per averci preparato una serata così.