E’ raro che nella storia del rock un gruppo abbia esordito tanto male come fecero i Genesis con il loro From Genesis to Revelation (1969), riuscendo tuttavia a trasformarsi in poco tempo in una band leggendaria, artefice di alcuni capolavori che segnarono indelebilmente la stagione del prog rock. Quell’album, inviso financo ai più fedeli e ortodossi fra i fans, era una pretenziosa accozzaglia di canzonette pop melense e stucchevoli, lontane mille miglia dai successivi affreschi romantici che resero celebre il quintetto inglese. Sarà sufficiente un altro disco, Trespass (1970), ingenuo quanto si vuole, ma anticipatore comunque delle visioni impressioniste di Gabriel, per cancellare il balbettio iniziale e dimostrare al mondo che i Genesis erano molto di più di un gruppo di chierichetti che masticava melodie da oratorio. La violenza quasi metal di The Knife e gli acquarelli diafani di The Dusk e Looking For Someone risplendono ancora oggi nel forziere delle gemme più preziose del gruppo. Eppure, la svolta definitiva, avviene solo nel 1971, quando a far compagnia a Gabriel, Rutheford e Banks, arrivano anche l’eclettico batterista Phil Collins e Steve Hackett alla chitarra. Cinque galli nel pollaio e una line up che sotto il profilo tecnico e creativo avrà pochi eguali nella storia del rock. Esce Nursery Crime e il mondo si accorge che è nata una stella. Soprattutto in Italia, in Francia e in Belgio, prima che in Inghilterra, i Genesis diventano i protagonisti assoluti del nuovo suono, a cui da qualche anno si stanno convertendo migliaia di appassionati. Merito dell’estro di Gabriel, eclettico front-man, capace di leggendari trasformismi, istrioniche performance vocali e di una poetica che miscela, in seducenti, e talvolta, criptici versi, mitologia, storia, tradizione anglosassone, impressionismo pittorico e un certo gusto per il macabro. Non è un caso che il successo arrivi soprattutto con The Musical Box, canzone che apre Nursery Crime e paradigma di quanto variegata e multiforme fosse la scrittura dell’Arcangelo Gabriele. The Musical Box è una storia per bambini e di bambini (d’altra parte, Nursery Crime parafrasa le nursery rhymes, le filastrocche per bambini della tradizione inglese). Ma è soprattutto una storia macabra, che nasconde un crimine, un orribile delitto. Cynthia e Henry sono amici e giocano insieme a croquet (la copertina del disco è ispirata proprio a questo brano). Succede qualcosa, però, qualcosa di imprevedibile, qualcosa che ha a che fare con la follia, con il soprannaturale, forse col demonio. “Cynthia dal dolce sorriso sollevò in alto la sua mazza e graziosamente decapitò Henry “canta Gabriel. Qualche giorno dopo, Cynthia scopre nella camera del defunto Henry un carillion (The Musical Box) e lo fa suonare. All’improvviso nella stanza si materializza lo spirito di Henry, le cui sembianze non sono quelle di un bambino ma di un uomo che invecchia a vista d’occhio e che implora Cynthia di toccarlo per un’ultima volta, prima che il suo corpo si disfaccia definitivamente. E mentre Cynthia si avvicina al compagno di giochi con la mano protesa, nella stanza entra la tata di Henry che prende il carillion, lo distrugge, facendo così svanire anche lo spirito del bambino. I dieci minuti abbondanti del brano si sviluppano magistralmente, alternando agli arpeggi trasognati della dodici corde e all’interplay perfetto fra la voce calda del cantastorie Gabriel, il flauto e il controcanto vellutato di Collins, improvvise esplosioni di violenza quasi hard rock, che preparano al crescendo del concitato finale, in cui la voce implorante dello spirito Henry invoca Cynthia di toccarlo. La tensione musicale del brano sposa alla perfezione un testo che evoca contemporaneamente esoterismo, immagini orrorifiche e colti cenni mitologici, come nella supplica finale “Touch me, Touch me, Now !“, che richiama alla memoria il mito greco di Orfeo e Euridice.