“Ci chiamavamo The Music perché non riuscivamo a pensare a un nome. Non ci interessava nient'altro che fumare erba e fare un fottuto rumore. Mi manca, e non so come si possa tornare indietro. Ma ora ho trentotto anni, non diciotto, e non so più cosa pensino i giovani. Solo perché una cosa non mi piace, non significa che non sia grandiosa”.
Estratto da intervista a Robert Harvey, musicbusinessworldwide.com, 2021
Robert Harvey è stato il frontman dei The Music. Formatisi il 2001 nella città di Leeds, i quattro ragazzi all’epoca non contano ottant’anni neanche messi insieme e raggiungono il successo molto più velocemente di quanto si aspettino, o, forse, addirittura desiderino. L'album di debutto omonimo della band, pubblicato nel 2002, è subito decretato da critica e pubblico come un classico istantaneo. Diviene disco d’oro in un “momento mainstream” per la musica indie britannica, in una scena definita da jeans attillati, concerti sudati e riff di chitarra con Arctic Monkeys e Libertines sugli scudi e in fase esplosiva.
The Music è un lavoro fresco ancor oggi, con un suono già maturo, nonostante il leader Harvey (voce e chitarra ritmica), Adam Nutter (chitarra solista), Stuart Coleman (basso) e Phil Jordan (batteria) stiano vivendo l’adolescenza proprio in quel momento. I ragazzi di Kippax riescono dunque a offrire un’alchimia di rock intriso di attitudine da club culture in maniera impareggiabile e inaspettata.
Troppo giovani persino per aver subito le influenze del brit-pop, anche se gli Oasis sono nel mirino, si sente che hanno trascorso le noiose giornate nel nord dell’Inghilterra ad ascoltare i vecchi dischi dei genitori (dai Doors e Pink Floyd ai Led Zeppelin), ma soprattutto si avverte che hanno passato le nottate percependo l’eco delle vicine scene garage, molto attive in quel frangente. Pur non avendo ereditato praticamente nulla dai Primal Scream, in quanto il loro sound è più bucolico e l’approccio più pulito, non è però un caso la scelta del produttore Jim Abbiss, il quale già aveva lavorato con Dj Shadow e Bjork.
Nella loro musica non vi sono comunque influenze elettroniche e i quattro paiono metabolizzare piuttosto la vecchia psichedelia impreziosendola con i vagiti del “nuovo” movimento britannico. La loro parola magica è “naturalezza”, condita con un indubbio talento che sa rendere sorprendenti gli orditi sonori sfocianti in inestimabili complessità. La “Plantiana” ed evocativa voce di Robert Harvey, poi, fa il resto. Mirabili gli intrecci onirici di “The Dance” e gli assalti elettrici di “Take the Long Road and Walk It”, mentre colpisce da cima a fondo l’elegia lisergica di “Human”, prima di incontrare la sfrontatezza e sincerità di “The Truth Is No Words”.
“Float” è un’energica galoppata infarcita di ritmi seventies che deraglia nelle dilatazioni sognanti di “Turn Out the Light”, antipasto del succulento piatto in arrivo nella traccia numero sette.
“Hey Monday morning,
See what you're missing,
I can't live my life like this boy,
I said hey little lady,
see what you're missing,
I can't get enough of your love…
…The people, the people, the people change the way you live now”
“The People” è il brano fulcro della raccolta, ove il gruppo dimostra di saper trascinare l’ascoltatore in esplorazioni sonore che coinvolgono evocazione e fisicità. Si mantiene una purezza lirica istintiva (“Lunedì mattina, vedi cosa ti stai perdendo…non ne ho mai abbastanza del tuo amore”), che li rende sempre sorprendenti e mai autocelebrativi, con la presenza di riflessioni su quanto gli stereotipi influiscano sin dalla giovane età e di conseguenza il modus vivendi venga indirizzato dal contesto sociale. Sono elucubrazioni semplici, ma genuine, alimentate da frasi ripetute come un mantra (“La gente cambia il modo in cui vivi ora”) a sottolineare la problematica affrontata con straordinaria maturità.
Verso la conclusione dell’album le melodie si susseguono in crescendo ipnotici con “Getaway”, per poi incedere grevi in “Disco”, descrivendo viaggi che sono sperimentazioni in territori cangianti, e infine chiudere i battenti con il loop di fraseggi di “Too High”, una discesa agli inferi con ritorno, in un tripudio di riff e percussioni.
The Music si attesta ad opera indimenticabile di una band che nel 2004 sforna un’altra prova convincente, tuttavia meno coesa, Welcome to the North, prima di perdersi nei meandri del già sentito con Strength in Numbers, fino allo scioglimento del 2011, tra un netto calo di ispirazione e svariati problemi personali del frontman.
Gli anni seguenti sono per Harvey intervallati da momenti di ricerca dell'anima e di generale disillusione nei confronti dell'industria discografica. La reunion del 2022 permette la realizzazione di Live at Temple Newsam, nuovo tentativo di far breccia in un universo musicale terribilmente cambiato in sole due decadi. Chissà se a questo vi sarà un seguito: i segnali non sembrano incoraggianti. Nutter si è cimentato nel suo primo lavoro solista ad Aprile 2023, mentre Harvey ha ripreso la sua attività di songwriter per altri artisti, tornando pure in tour con i Kasabian, ai quali è legato da tempo come membro della formazione aggiunto durante le date live.
Rimane ad ogni modo indelebile nella memoria quel profluvio di chitarre e percussioni che a inizio secolo ha fatto credere alla potenza autorigenerante del rock ed è un piacere ricordarlo in un periodo ove le speranze di una rinascita di un certo tipo di musica sono tenui, tuttavia ancor vive.