La maggioranza dei non-bowiani conosce solo la title track nell’interpretazione dei Nirvana di questo LP cruciale nell’evoluzione, infinita, di David Bowie verso lo status di stella eterna.
Non si tratta di dislivello generazionale, semmai di più facile disponibilità della registrazione.
E sto già scrivendo di minoranze. Perché fra i non-bowiani c’è la massa indistinta.
Descritto come fosse una sorta di incidente, quasi da disconoscere fra stupori e giudizi netti (“è hard rock” eppure me lo diede Tonito questo giudizio! In altri casi era gelosia di chi non era riuscito nemmeno (sic) a creare un album apparentemente fasciato di mera potenza sonora?), forse si vuole proporre l’artista entro uno scrigno che fosse RCA sostanzialmente e non solo formalmente?
Poi certamente, quella copertina (mi riferisco all’edizione Mercury con la cosiddetta “dress cover”) non prometteva nulla di buono – anch’essa un equivoco? – con un Bowie apparentemente lontanissimo dal suo personaggio di Ziggy Stardust[1].
Non ha senso raccontarvi le canzoni. E non è nello stile di questo blog[2], poi.
Eppure la tentazione pare forte.
La banale verità è che David Bowie nel 1971 esprime già la potenza intellettuale (se pensavate solo musicale la vostra analisi è superficiale) di un vero Übermensch che avrebbe lasciato un’eredità pesante anche se avesse abbandonato per noia il medium[3] del pentagramma nel 1974-75 come dichiarò di voler fare.
Mi rendo conto del fatto che quando scrivo di lui in effetti fatico a concepire un lettore neofita nella conoscenza del repertorio (che brutta parola) di David Bowie.
Ma come posso imporre, sì imporre, l’ascolto io – che soltanto intravedo fra cappe crowleiane, ritagli burroughsiani, visioni nietzschiane, materiali da epica astronautica, suoni elettrici dei quali è più che artefice Mick Ronson, i lampi superomistici[4] di chi poi risorgerà come Duca Bianco già nel 1975 – almeno di tutto ciò che ha pubblicato con devozione Rykodisc e della parzialissima antologia ufficiale delle sessioni radiofoniche BBC?
Come spesso accade, e deve accadere, la chiusura resta una sola: ascoltate e giudicate.
Quando durante la giornata, improvvisamente, sentirete la mancanza di “The Width Of A Circle” oppure essa vi parrà troppo breve nella sua dimensione di mantra elitario, allora avrete nel vostro scrigno musicale un altro gioiello.
[1] In realtà così non è: per tutti si cfr. M. PAYTRESS, Ziggy Stardust/David Bowie, Schirmer, 2001 (collana “Classic Rock”).
[2] Ma non trovate delle vicinanze melodiche con gli Earth and Fire dell’anno successivo?
[3] Sempre ci si deve porre la distinzione fra artista costretto ad una sola arte e invece colui che percorre le varie forme delle opere dell’ingegno come mere espressioni e mezzi di un talento geniale ben più grande.
[4] O oltreomistici che dir si voglia.