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REVIEWSLE RECENSIONI
The Lonely, The Lonesome & The Gone
Lee Ann Womack
2017  (ATO Records)
AMERICANA/FOLK/COUNTRY/SONGWRITERS
8,5/10
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02/11/2017
Lee Ann Womack
The Lonely, The Lonesome & The Gone
Oggi, la Womack pare essere tornata sui suoi passi, ricominciando a percorrere i sentieri di un’Americana più complessa nella struttura e, come si capisce da questo nuovo The Lonely, The Lonesome & The Gone, attraversata da crepuscolari umori soul

Che Lee Ann Womak stia vivendo una seconda fase di carriera di livello altissimo, era apparso evidente fin dai tempi di Call Me Crazy (2008) e soprattutto del superbo The Way I’m Livin’, di tre anni fa. Nel suo momento di maggior successo (l’album I Hope You Dance del 2000 e la title track pubblicata come singolo, entrambe in vetta alle charts statunitensi) le composizioni viaggiavano su oliatissimi binari mainstream e il suono era tarato sul classico country pop di nashvilliana memoria; oggi, la Womack pare essere tornata sui suoi passi, ricominciando a percorrere i sentieri di un’Americana più complessa nella struttura e, come si capisce da questo nuovo The Lonely, The Lonesome & The Gone, attraversata da crepuscolari umori soul. A parere di chi scrive, ma credo la differenza la si possa cogliere ascoltando in sequenza cronologica gli album fin qui citati, questa nuova stagione creativa ci consegna un’interprete e una songwriter al top della propria maturità artistica, tanto che questo nuovo full lenght può tranquillamente definirsi il migliore mai rilasciato dalla Womack. Confermato il marito Frank Liddlel in cabina di regia, cambiata la casa discografica (dalla Sugar Hill alla ATO) e trasferitasi da Nashville a Houston, dove l’album è stato registrato, Lee Ann ha assemblato una scaletta di quattordici brani, in cui pezzi originali si alternano a cover di straordinaria fattura. Che le cose sia cambiate, sia nella forma che nella sostanza, lo si capisce subito dall’opener All The Trouble, cupissimo blues il cui impianto acustico lascia lentamente il posto a un crescendo corale (inquietanti i controcanti quasi ultraterreni) percosso da riverberi e distorsioni elettriche. Canzone pervasa di grande tensione, con la voce della Womack che raggiunge vette di estensione stratosferiche. Segue la title track, umbratile ballata che si sviluppa sull’intreccio fra chitarra elettrica, acustica e steel guitar (prezioso il lavoro di Paul Franklin per tutta la durata dell’album). Si arriva così alla prima cover del lotto: He Called Me Baby, vecchio brano di Harlan Howard, in cui la Womack dà sfoggio di una grande proprietà di linguaggio anche quando si cimenta, come in questo caso, con sonorità decisamente più soul. Hollywood, scritta con Waylon Payne e Adam Wright, è uno degli high lights del disco: countrypolitan agro dolce dal retrogusto seventies, in cui la languida melodia accompagna una cinica riflessione sui riverberi negativi che la fama d’attore può avere su una storia d’amore. Arrivati alla quarta canzone si capisce definitivamente che il livello di scrittura è altissimo, che la band che accompagna la Womack gira a mille e che Frank Liddlel ha in pugno la situazione, creando un suono fluido, carico di soul e in bilico costante fra luci e ombre. Ecco allora l’incedere aspro del country di End Of The End of The World, scritta da Adam Wright, e due superbe cover dal repertorio di Brent Cobb, la caracollante e irresistibile melodia di Bottom Of The Barrell (immaginatela elettrica ed eseguita da Bruce Springsteen a fine concerto e vi farete un’idea di quanto sia coinvolgente il brano) e, soprattutto, Shine On A Rainy Day, qui c’è anche lo zampino di Andrew Combs, tristissima ballata, stracciata nel mezzo da un icastico assolo di chitarra super effettata. Altri due brani meritano ancora un accenno: Mama Lost Her Smile, nostalgico ricordo materno attraverso vecchie fotografie ritrovate per caso in una scatola (se non vi spappola il cuore è perché non ne avete uno) e la grafia in corsivo di Long Black Veil, brano preso dal repertorio di Danny Dill e Marijhon Wilkin, e portato al successo nel 1959 da Lefty Frizzell, contrabbasso, chitarra acustica e la voce della Womack che si prende tutta la scena, giocando sul contrappunto fra estensione e profondità. Un disco superbo, dunque, che conferma il nuovo corso di una delle songwriter americane più amate di sempre. Tanto che, buona parte della stampa d’oltreoceano, sta già indicando The Lonely, The Lonesome & The Gone come disco dell’anno. Di sicuro, e non sarebbe la prima volta, nell’aria c’è odore di Grammy Award. Consigliatissimo.