James Brown incrociato con Sinatra, o ancora la disco con testi cantautorali, un basso suonato da un bianco che pompava funk, un cantante con un abito di lamé dorato acquistato dal sarto di Marc Bolan. Che ne dite, vi basta come introduzione per parlare degli Abc e di "The Lexicon of Love"? Lo so, adesso qualcuno dirà che negli anni '80 ben altra roba circolava per l'aria (del resto lo so anche io); ma perché privarsi del ricordo di un disco fondamentale per la rinascita del pop, dopo anni di oblio e vagonate di dischi anonimi? Talmente bello da far nascere anche una schiera di imitatori che mai riuscirono a raggiungere le vette di questo capolavoro. Prendete ad esempio "True" degli Spandau Ballet e paragonatela ad "All Of My Heart" degli Abc; la seconda è una canzone sdolcinata soltanto nel titolo, leggendo il testo infatti si scopre che è meglio lasciar perdere i cuoricini e tutta la melassa sentimentale, l'altra invece era una rimasticatura ad alto tasso glicemico che scomodava pure Marvin Gaye tanto per darsi un tono.
Una produzione sontuosa da parte di Trevor Horn, l'orchestra che sembrava spuntasse da tutte le parti, quando invece fu usata solo in quattro canzoni, brani con un sound sovrumano, prendi ad esempio "Poison Arrow", e poi la hit, questa volta con archi veri, "The Look Of Love", dalle reminiscenze bacharachiane.
Una musica accessibile a tutti ma dall'approccio quasi punk, solo che questa volta si va dal "tutti possono farcela" al "tutti possono diventare delle star". E gli Abc lo divennero; alla fine del 1982 "The Lexicon Of Love" rimase al primo posto per un mese e divenne disco di platino, ben meritato direi: gli Abc erano prima di tutto degli ottimi musicisti che usarono il look come un grimaldello al servizio della musica laddove gli altri gruppi “new pop” di quegli anni furono per la maggior parte dei pessimi musicisti ma degli ottimi modelli.
Troppo grande fu quel disco perché il gruppo di Sheffield si ripetesse a tali livelli; fiutando che il vento per il new pop stava cambiando, il gruppo di Martin Fry produsse il secondo disco come antitesi del primo, fallendo però nel risultato e suonando un rockettino dalla scarsa credibilità.
Ma è bastato quel primo album a farli entrare per l'eternità nel pantheon della pop music.