Mentre è tutt’ora in corso il reunion tour del trio britannico (al momento sospeso per problemi legati al covid), i Genesis rilasciano anche l’ennesima raccolta, la cui scaletta rispecchia in toto la setlist presentata dal vivo.
Difficile dare un senso a questa operazione che, alla luce della corposa discografia della band capitanata da Phil Collins e della sua leggendaria storia, rappresenta una sorta di gadget celebrativo e nulla più. Intendiamoci, il giudizio non è relativo al contenuto dei due cd di cui si sostanzia l’opera, ma all’inutilità dello stesso, visto che di raccolte, i Genesis, fino ad oggi, ne hanno pubblicate ben nove. Considerato che, salvo rare apprezzabili eccezioni, il prog è poi un genere concettualmente troppo lontano dalle nuove generazioni (come, peraltro, il pop rock da stadio della seconda vita del gruppo), The Last Domino? è un disco che si rivolge principalmente ai completisti (come il sottoscritto) o a quei tiepidi appassionati, un po' nostalgici, che non possedendo dischi della band, colgono così l’occasione per rinverdire i propri ricordi di gioventù.
Per quanto riguarda, poi, il contenuto di questi due cd, elegantemente confezionati in un packaging ricco di foto, si rimane spiazzati dall’ordine in cui le canzoni sono inserite in scaletta, che è probabilmente quello tenuto durante i live act, ma che su supporto non ha alcun senso (meglio sarebbe stata una sistemazione cronologica, per far capire l’evoluzione artistica del gruppo).
Dalla raccolta, inoltre, sono stati esclusi completamente i primi quattro album (From Genesis To Revelation, Trespass, Nursery Crime e Foxtrot) e l’era Gabriel è rappresentata solo da Selling England By The Pound ("Firth Of Fifth", "I Know What I Like", "Dancing With The Moonlit Knight") e The Lamb Lies Down On Broadway (la title track e "The Carpet Crawlers"), mentre sorprende la totale esclusione di canzoni da The Trick Of The Tail, la prova migliore dei Genesis capitanati da Collins.
Nonostante un certo rammarico, e non potrebbe essere diversamente, è comunque piacevole riascoltare questi brani tirati a lucido da un notevole lavoro di rimasterizzazione, e anche se mancano tante canzoni che i vecchi fan avrebbero apprezzato, la raccolta ha comunque il senso di mettere in luce una seconda parte di carriera, decisamente meno brillante, ma egualmente interessante. Anzi, riascoltando, dopo anni, i brani in cui la mano pop di Collins ha inciso maggiormente, ci si rende conto che certi dischi venivano ingiustamente sottovalutati, non tanto per il loro oggettivo contenuto, quanto per un’inevitabile paragone con gli anni d’oro della band.
Oggi, col filtro della storia e dei decenni trascorsi (l’ultimo album in studio, Calling All Stations, con Ray Wilson alla voce, risale al 1997), viene da dire che album come Duke, Genesis e, perché no, Invisible Touch, erano comunque lavori ispirati e ben confezionati, che oggi tante giovani band farebbero carte false per poterli pubblicare a proprio nome. Così, canzoni come "Mama", e il suo incredibile schema ritmico ossessivo, "Tonigh Tonight Tonight", "Abacab" o "Domino" suonano molto meglio di quanto ricordassimo.