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RE-LOUDDSTORIE DI ROCK
06/07/2020
Jimmy Gnecco
The Heart
L'esordio misconosciuto di Jimmy Gnecco, frontman degli Ours, tra struggimenti romantici e soliloquio intimista

La storia degli Ours, alternative rock band originaria del New Jersey, ha inizio a metà anni ’90, ma si concretizza solo nel nuovo millennio, quando, nel 2001, esce il disco d’esordio (Distorted Lullabies) per la DreamWorks Records, suscitando immediatamente giudizi positivi da parte della stampa specializzata e del pubblico, che apprezza soprattutto il singolo Sometimes, spingendolo alto in classifica.

E’ il momento migliore di un gruppo, che si guadagna un ottimo seguito nel circuito alternative americano, rimanendo pressoché sconosciuto fuori dal territorio nazionale, Italia compresa. Ed è un vero peccato, perché il rock impressionista degli Ours ha come matrice la musica di Jeff Buckley, artista icona degli anni ’90, amato a ogni latitudine. Non è solo questione di suono (tra le fonti d’ispirazione è evidente il riferimento a quel decennio, chiamato in causa anche per alcune assonanze coi Radiohead del primo periodo), perché ciò che davvero permette l’accostamento fra la musica di Buckley e quella degli Ours è la voce incredibile del loro leader dal nome buffo, Jimmy Gnecco. Una voce pazzesca, la sua, dotata di un’estensione funambolica che, soprattutto nelle parti di screaming, può essere tranquillamente sovrapposta a quella di Jeff, senza che nessuno noti la differenza.

Gnecco, cantante, songwriter e polistrumentista, esordisce in solitaria nel 2010, con questo bellissimo e misconosciuto The Heart. Un disco autoprodotto, interamente acustico, intimo e confessionale, con cui il leader prende le distanze dalla casa madre, salvo poi, l’anno successivo, ripensarci e suonare l’intera scaletta con una backing band (pubblicando così The Heart X Edition).

The Heart è un’opera attraversata da una pressante urgenza emotiva, come se queste canzoni, trattenute a lungo nel cuore, più che nella testa, cercassero con prepotenza uno sbocco. E’ evidente il desiderio di Gnecco di mettersi a nudo (non è un caso la copertina e non è un caso il titolo del disco), di svestire i panni della rockstar (gli Ours, certo, ma anche una chiacchierata collaborazione con Brian May dei Queen) per raccontare i tormenti della propria anima e indagare sui rapporti interpersonali e sull’amore (per la cronaca, Gnecco ebbe una tormentata relazione con Lana Del Rey, che ispirò Ultraviolence).

Quindici canzoni (due in più nella deluxe edition), eseguite prevalentemente per chitarra e voce (ma compaiono anche pianoforte e batteria), dagli arrangiamenti scarni, che poggiano soprattutto sulla voce di Gnecco, il cui timbro è capace di riempire tutti gli spazi, dando spessore e stratificazione alle composizioni. Una voce, si diceva, incredibile, e incredibilmente versatile, che spesso imbocca la strada del falsetto, e in altre occasioni quella dello screaming, mantenendo però sempre inalterata la tensione drammatica e la potente estensione, che ha spesso aperto illustri paragoni con il citato Buckley e Chris Cornell.

Un disco lungo (circa un’ora di durata), che però non mostra mai la corda, ma è sempre sorretto da quell’urgenza espressiva, talvolta spinta fino al limite del parossismo e del melodrammatico, di cui si diceva prima. A metà strada fra i Radiohead acustici (quelli di True Love Waits, per intenderci) e il romanticismo disperato di Jeff Buckley, il songwriting di Gnecco lega a doppio filo il proprio cuore con quello dell’ascoltatore, in una immedesimazione di palpiti che perdura ben oltre l’ascolto. Canzoni dall’ossatura fragile ma dal pathos smisurato, carezze malinconiche per anime inquiete, piccoli gioielli da conservare gelosamente nello scrigno nascosto della propria cameretta, quando arrivano le ombre della notte, e fuori piovono lacrime di tristezza e di promesse infrante.

Rest Your Soul, Darling, I Heard You Singing, Bring You Home e It’s Only Love, solo per citarne alcune, sono canzoni destinate a durare nel tempo, e a vivere in quell’immaginario di suggestioni che solo la musica sa creare e che le anime romantiche si tengono strette, vicino al cuore, per amplificare l’eco dei propri struggimenti. D’altra parte, non è forse una melodia malinconica la scorciatoia più rapida alla voluptas dolendi?


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