Si può realizzare in tempi moderni un buon film di genere con soli 30.000 dollari o poco più? Jordan Downey, insieme a Kevin Stewart (sceneggiatura e fotografia) e Nick Soole (musiche), ci dimostrano che sì, è possibile farlo e anche con ottimi e originali risultati.
The head hunter è una produzione indipendente americana, un film girato tra Portogallo, Norvegia e California con una "troupe" ridotta a un pugno di persone (Downey, Stewart e pochi altri), in scena due soli attori uno dei quali, la giovanissima Cora Kaufman, compare in video per un totale di uno o due minuti al più.
Il protagonista unico e assoluto è l'attore norvegese ed esordiente (nel lungo) Christopher Rygh, un marcantonio, o almeno così sembra guardando il film, di poche parole che interpreta un personaggio senza nome di cui lo spettatore conosce poco o nulla se non quello che imparerà lungo l'arco dei settantadue minuti del film, missione dopo missione, uccisione dopo uccisione.
The head hunter è una sorta di horror di stampo medievale che poggia la sua riuscita sulla capacità di Downey nel creare le giuste atmosfere mostrando in video solo lo stretto necessario e adoperando con intelligenza e in maniera funzionale i pochi mezzi a sua disposizione sfruttando l'esperienza maturata con i precedenti cortometraggi da lui stesso realizzato e con il dittico horror comedy Thankskilling.
In una foresta innevata, quello che a prima vista sembra essere un guerriero nordico (Christopher Rygh) in vesti medievali si adopera per proteggere qualcuno, che scopriremo essere la sua piccola figlia (Cora Kaufman), da un nemico minaccioso e sconosciuto.
In un periodo posteriore lo stesso guerriero vive solo in una cupa abitazione di legno in mezzo alla foresta, la bambina non c'è più, l'uomo ha fallito il suo compito e ora cerca vendetta. Impiega molto del suo tempo in operazioni complesse volte a produrre un intruglio nero pece capace di curare miracolosamente anche le ferite più profonde.
L'uomo aspetta un segnale e parte per una nuova caccia, ma non una caccia ad animali o bestie, bensì alla ricerca di qualcosa di ben più pericoloso e mostruoso.
In prossimità della sua casa ci sono la tomba della piccola e un castello dal quale partono segnali di pericolo, avvertimenti d'allarme. Il guerriero allora indossa la sua armatura, vaga per gli spazi aperti che circondano la sua casa solinga, inevitabilmente torna con un sacco sanguinante, rientra poi in questa casa adornata di teste, teste mostruose carpite alle sue vittime.
Questo padre poi torna a trovare la figlia morta, le parla, si cura le ferite, prepara l'intruglio sanatorio e aspetta una nuova chiamata. Aspetta il giorno in cui incapperà di nuovo nell'orrore che le ha portato via la sua bambina.
Dietro The head hunter ci sono un grande lavoro di regia, di scenografia e di fotografia, il comparto tecnico (come detto formato da un manipolo ristretto di persone) riesce a valorizzare al meglio i pochi soldi a disposizione adattando con intelligenza la sceneggiatura agli scarsi mezzi e sfruttando al massimo il poco a disposizione e tutto ciò che non avrebbe fatto lievitare ulteriormente i costi come le splendide location e le riprese su paesaggi davvero suggestivi.
L'immaginario che viene fuori dal lavoro di Downey e Stewart richiama molto l'iconografia metal dei paesi nordici; c'è un'attenzione pazzesca alla costruzione dell'armatura del protagonista, con schegge d'osso a spuntare dalle finiture in pelle, un copricapo minaccioso che nel finale serve anche come parziale soggettiva per lo spettatore, l'interno della casa, unico ambiente non naturale al chiuso, è curato in dettaglio e arricchito da tanti interventi artigianali di ottimo impatto.
Certo, la sceneggiatura è scarna ma Downey sopperisce bene con un dosaggio della tensione ben concepito, inoltre le scelte di regia sono apprezzabili sia nelle aperture ariose su paesaggi splendidi sia nelle inquadrature ristrette, spesso claustrofobiche grazie a passaggi più bui e set naturali molto angusti che pare abbiano anche creato difficoltà in fase di ripresa.
Il regista sfrutta al meglio il fuori campo, i combattimenti sono quasi sempre al di là dell'inquadratura (tranne che nel confronto finale), la macchina da presa si muove in maniera mai noiosa, il minutaggio breve permette all'opera di arrivare a compimento senza perdita di tono. Ombre, suoni, dettagli, percezioni, umori ed ecco un film convincente realizzato davvero con pochi mezzi ma con le idee giuste, la giusta tecnica.
Purtroppo poco visibile in sala, The head hunter ha raccolto diversi riconoscimenti in vari festival di genere e durante la sua scarsa distribuzione ha recuperato l'investimento guadagnando anche qualcosina per approdare poi su Prime Video. Da lì in avanti la questione visualizzazioni e introiti è, almeno per chi scrive, un totale mistero.