Nella seconda metà degli anni ’90, quando il brit pop domina incontrastato nelle charts di tutto il mondo, emerge, dietro nomi di grido quali Oasis, Blur, Radiohead, Verve, una retroguardia musicale che rielabora, a volte innovandoli, in altri casi riprendendoli pedissequamente, i temi cari a un genere che sembra ormai aver già espresso il suo picco di vitalità. Entrano in classifica band come Travis, Stairsailor, Supergrass ed Embrace, solo per citare alcuni dei gruppi più famosi. Questi ultimi, da non confondere con l’omonima band americana di harcore punk, meteora anni ’80, si formano a Bailiff Bridge (West Yorkshire) nel 1990, per volontà dei fratelli McNamara (Danny, voce e chitarra, Richard, voce e tastiere) a cui si aggiungono ben presto Mickey Dale (tastiere), Mike Heaton (batteria) e Steve Firth (basso).
L’avventura degli Embrace ha inizio con la registrazione di una demo contenente tre tracce (Overflowing, Say It With Bombs e Sooner Than You Think), che viene venduta ai concerti in formato cassetta. La band si sposta a Manchester, dove registra nuovamente i brani, che finiscono su una cassetta allegata alla fanzine di Leeds, The Expression She Pulled. E’ il momento della svolta: il primo singolo, All You Good Good People, viene pubblicato nel febbraio 1997 via Fierce Panda Records, e altri due singoli (Fireworks e One Big Family) danno agli Embrace ulteriore visibilità, tanto che, l’8 giugno del 1998, la Hut, una sussidiaria della Virgin, pubblica The Good Will Out, esordio che vede in veste di produttore un maestro della consolle quale Youth (bassista dei Killing Joke, che l’anno precedente ha messo mano a Hurban Hymns dei verve).
L’album, che salirà alla prima piazza delle charts inglesi, viene osannato dalla critica e ottiene un incredibile successo in termini di vendite, diventando disco d'oro nel suo primo giorno di uscita e uno degli album di debutto più venduti in assoluto da un gruppo britannico (oltre 500.000 copie nella sola Inghilterra). Qual è segreto di questo exploit, che, a ben ascoltare, non aggiunge nulla di nuovo a un movimento che sembra già essersi giocato le carte migliori? Belle canzoni, certo, ma anche la capacità di rielaborare con intelligenza la lezione degli Oasis e dei Verve. Suono che vince non si cambia, insomma: The Good Will Out è un mix equilibrato (e rinfrescato) che sembra uscire dalla penna dei fratelli Gallagher e di Richard Ashcroft, una miscela millesimata di riff di chitarra, arrangiamenti lussureggianti e melodie irresistibili.
Il disco si apre con i sei minuti di All You Good Good People, andamento cantilenante, ritornello innodico, chitarre scintillanti e un brillante arrangiamento di ottoni e archi. Parte la successiva My Weakness Is None Of Your Businness, ed è chiaro che ci si trova di fronte a una grande band con idee chiarissime: la melodia ariosa, l’abbraccio degli archi, il mood malinconico, echi Fab Four, il timbro vocale depresso di McNamara e ancora un ritornello fulminante, da cantare a squarciagola sotto il palco, lacrime agli occhi e accendino alla mano. Tra tante splendide canzoni, che oscillano tra muscolari e ruvidi rock (One Big Family e The Last Gas sono Oasis al 100%) e ballate col cuore in mano (Fireworks sembra un outtake da Urban Hymns, una sorta di The Drugs Don’t Work in ritardo di un anno), spunta anche Come Back To What You Know, il tormentone che vale una carriera, la canzone che in Inghilterra scala le classifiche fino alla sesta piazza e tributa agli Embrace un posticino nella storia del rock britannico. Una ballata che sembra uscita dalla penna dei fratelli Gallagher, malinconica e carica di epos, che conquista con un ritornello immediato, arioso, semplicemente e clamorosamente catchy.
Vetta, questa, di un esordio che torna a dare lustro al brit pop e che apre la carriera di una band, tutt’ora in attività, che pur non replicando più tali livelli di ispirazione, ha continuato a rilasciare ottimi album e canzoni capaci di farsi ricordare nel tempo.