Non è una battuta, non è una provocazione: i The Hu sono realmente una band incredibile. Unici, originali, seri, coerenti, appassionati e preparatissimi, questi cinque ragazzi di Ulan Bator, Mongolia (quattro musicisti e un produttore) stanno sovvertendo le regole del rock, del folk, del metal e della world music con gusto ed eleganza. Dal 2016 gli Hu stanno lavorando per unire la musica rock e metal occidentale, la tradizionale strumentazione mongola, l’antico, il moderno e i valori tipici della cultura mongola in un unico superbo flusso sonoro, che contro ogni aspettativa supera anche ogni differenza tra musica occidentale e orientale.
Il risultato può essere chiamato in un solo modo: “hunnu rock”.
L’hunnu rock (da cui anche il nome stesso dei The Hu) è una definizione che la band auto attribuisce al proprio stile e deriva dalla parola mongola “umano”. Come si ottiene? Mescolando i bassi e le percussioni del rock con il tipico canto gutturale mongolo e gli strumenti tradizionali della Mongolia, composta da Morin Khuur (un violino a testa di cavallo), Tovshuur (un liuto a due o tre stringhe), Tumur Khuur (un’arpa a bocca suonata grazie all’uso delle mascelle) e Tsuur Flute (un flauto mongolo). Una tradizione millenaria che si unisce agli ascolti metallari di quattro ragazzi provenienti da una delle regioni meno densamente popolate al mondo.
La musica, infatti, è profondamente radicata nella cultura mongola: le diverse tribù, nel corso dei secoli, sono sempre state molto orgogliose dei loro suoni e il canto gutturale è una tipica tecnica che i mongoli si tramandano da generazioni. Gli Hu stessi lo hanno imparato sin da bambini, praticandolo anno dopo anno per controllarlo e perfezionarlo, e arrivando a sentirlo una parte di sé tanto da inserirlo con naturalezza nella loro musica.
L’antica cultura mongola, a sua volta, è radicata a fondo nella musica degli Hu: oltre alla strumentazione, il cantato è tutto in mongolo e nei testi vengono inserite anche grida e poesie della vecchia guerra mongola, con particolare riferimento alla grande figura di Gengis Khan.
La traccia di “The Great Chingiss Khan”, ad esempio, oltre ad essere una delle più intense canzoni di The Gereg, è anche quella con il video più spettacolare. Nel febbraio 2019, con -30 °C, la band ha scelto di girare il videoclip nel Burkhan Khalduun, città natale di Gengis Khan, con la specifica volontà di raccontarne la storia secondo il punto di vista mongolo: un Khan padre fondatore del paese, non solo un guerriero o un conquistatore, ma un leader che ha portato al popolo mongolo servizi come quello postale e ha aperto al commercio internazionale.
L’album stesso si chiama The Gereg, che è il termine usato per definire il passaporto diplomatico introdotto dai tempi di Gengis Khan, ovvero una tavoletta portata nel 1200 da nobili e funzionari mongoli, che consentiva privilegi quali la facilità di viaggio e l'accesso a una riserva di cavalli.
Oltre alla figura di Gengis Khan, le canzoni dei The Hu descrivono e comunicano molti dei valori più importanti nella la cultura mongola. La bella "Yuve Yuve Yu", ad esempio, parla del rispetto verso gli anziani e della protezione della natura (il video stesso, realizzato in ben 14 giorni dopo 5 mila chilometri di strada tra montagne e deserto, è un’occasione per mostrare al mondo gli incredibili paesaggi della Mongolia). “Wolf Totem”, alla seconda traccia, parla di come svegliare il guerriero interiore presente in ognuno di noi, di modo da poter affrontare e accettare gli avversari e le proprie paure, e uscirne vincitore.
La trascinante “Shoog Shoog”, invece, oltre ad essere una delle più belle canzoni dell’album, prende il nome dal richiamo di Tengri, suprema divinità mongola, eseguito dagli sciamani quando si collegano agli spiriti degli antenati. Mentre “The Legend of Mother Swan” e “The song of women” si rifanno al rapporto che i mongoli hanno con le donne. Nella prima delle due tracce, attraverso la leggenda di una madre cigno che protegge i suoi piccoli, parlano della figura delle madri (profondamente rispettate nella cultura mongola poiché sono la ragione per cui siamo sulla terra) e di quanto l'amore per la loro prole arrivi a sfidare anche la morte; mentre in “The song of women” (visto che il rispetto per le donne è uno dei loro valori più importanti) le donne vengono lodate e incoraggiate ad essere libere e a perseguire sempre i propri sogni.
The Gereg e la musica dei The Hu portano la cultura e la storia mongole nel mondo, e non solo idealmente. Sul piano del successo di pubblico (che ha sorpreso la band in primis), basti sapere che il singolo “Yuve Yuve Yu” ha ottenuto ad oggi (solo su YouTube) più di 24 milioni di visualizzazioni, “Wolf Totem” più di 17 milioni e “The Great Chingiss Khan” e “Shoog Shoog” più di 1 milione l’una, una delle quali in nemmeno tre settimane.
Ma il riconoscimento concreto non finisce qui, perché poco prima del loro primo tour europeo nell’estate 2019, dinnanzi all’incredibile successo che gli Hu stavano incontrando in tutto il mondo, lo stesso presidente mongolo Khaltmaagiin Battulga ha voluto incontrare la band, congratulandosi con loro per i successi nella promozione del paese. Pochi mesi dopo, gli Hu sono stati anche annunciati come “Inviato Culturale della Mongolia” dal Ministro degli Affari Esteri della Mongolia in una cerimonia speciale trasmessa in streaming su MNB World.
Forti di una popolarità sempre più ampia e inattesa, nell’autunno gli Hu sbarcheranno per la prima volta negli Stati Uniti per un tour di oltre 20 date, a cui seguirà un già annunciato tour in Australia. Arriveranno anche in Italia? Lo speriamo.
I mongoli stanno nuovamente conquistando il mondo e credetemi, vale la pena di lasciarsi conquistare.