Melodrammatici, smaccatamente romantici, spesso ampollosi, troppo mainstream per far breccia nel cuore dei veri intenditori di musica. Eppure gli Snow Patrol, figli della seconda ondata brit pop, si sono ritagliati un’importante fetta di popolarità, per quanto generalista, a metà del primo decennio degli anni ’00, con due album, Final Straw (2003) e Eyes Open (2006) grazie ai quali hanno venduto migliaia di dischi. Poi, l’inevitabile calo di consensi, e una discografia che si è fatta, anno dopo anno, sempre più rada. Tant’è che, a tutt’oggi, sono passati più di sei anni dall'ultimo album degli Snow Patrol, Wildness, un disco, peraltro altalenante e sostanzialmente deludente, pubblicato, a sua volta, dopo ben sette anni da Fallen Empires.
The Forest is the Path, il loro ottavo disco, è stato realizzato da una band, la cui line up è stata stravolta dall’uscita di membri di lunga data quali Paul Wilson (batteria) e Jonny Quinn (basso), che se ne sono andati lo scorso settembre, e dall’ingresso in pianta stabile del polistrumentista Johnny McDaid. Ciò premesso, nonostante le varie incarnazioni del gruppo, gli Snow Patrol sono da tempo considerati una creatura a uso e consumo esclusivo del frontman Gary Lightbody. Forse è perché molte delle loro canzoni più famose sono profondamente legate alla sua esperienza personale, come avveniva, ad esempio, nel celebre Final Straw, in cui il cantante che metteva a nudo la sua anima, gli amori, le delusioni, le speranze, le paure, senza alcun filtro.
Succede più o meno la stessa cosa in questo The Forest Is The Path, un disco che racconta il senso di Lightbody per l’amore e gli struggimenti che ne derivano, laddove la foresta, luogo in qualche modo impervio e oscuro, potrebbe rappresentare il sentiero, tortuoso e complicato, per giungere al cuore di chi si ama. Un disco, questo, in cui la vulnerabilità è tutto, le parole si fanno flusso di coscienza e anche, in qualche modo, lenimento per l’anima, mentre la narrazione intima e colloquiale acquisisce un fascino universale, perfetto per chiunque abbia un cuore infranto (quello stilizzato in copertina) e voglia rimetterne insieme i cocci.
E che il tema amoroso e le mille difficoltà che si affrontano per creare e tenere in piedi una relazione siano il cardine delle liriche dell’album, lo si comprende da alcuni intensi passaggi, come ad esempio in "The Beginning" in cui Lightbody canta, chiedendo perdono, “mi dispiace inequivocabilmente, non so proprio come amare”, o nella scarna e bellissima "These Lies", che offre all’ascoltatore una struggente confessione a cuore aperto: "Non ti mentirò più, dopo queste bugie, non più, non ti ho mai amato veramente, quindi vai via e non chiamarmi mai".
Musicalmente, il disco si apre con cinque canzoni che rappresentano la summa del suono Snow Patrol, un pop rock dall’appeal radiofonico, che evoca U2, i primi Coldplay o i Keane, confezionato perfettamente ma un po’ prevedibile nell’andamento, come se la band avesse inserito il pilota automatico.
Poi, la scaletta, con "Hold Me In The Fire", subisce una svolta e inizia a decollare: la canzone ha un taglio più rock, è trascinante e sviluppa una contagiosa melodia che esplode giocosa in un ritornello irresistibile. Strutturata nello stesso modo, è anche la successiva "Years That Fall", altro gioiellino melodico che riporta alle cose migliori della band.
Da qui in avanti vengono inanellate un filotto di ballate col cuore in mano, umorali e malinconiche, in cui la luce dei due brani precedenti, si attenua immergendosi in atmosfere crepuscolari ("Never Really Tire"), fino a spegnersi del tutto, abbandonandosi alle spire della notte, nell’emotivamente devastante "These Lies", piccolo gioiello di lacrime e struggimenti. Chiude la scaletta il falsetto di Lightbody che conduce la sospensione inziale della title track verso un crescendo ritmico che sigilla con un sospiro di sollievo un disco in molti episodi ispirato da sentimenti depressi.
Come i Coldplay, o altre band similari, la cui musica ha imboccato un percorso improntato al romanticismo più sfacciato, gli Snow Patrol sono facili da mettere alla gogna. Eppure, anche i detrattori più ostinati di fronte a The Forest Is The Path, potrebbero cambiare idea. Queste undici canzoni, infatti, non rappresentano certo una rivoluzione estetica e concettuale nella proposta della band nordirlandese, ma si fanno amare perché attraversate da una sincerità di fondo che le rende ingenuamente oneste. Dategli una possibilità, se lo meritano.