L’ultimo parto si chiama “The Crucible”, contiene tre pezzi, è tecnicamente un mini cd ma coi suoi 40 minuti di durata è già più lungo di parecchi album che escono oggigiorno. Se diamo loro corda e non lo definiamo tale è solo perché in passato ci hanno abituato a ben altro minutaggio ma di fatto i contenuti sono sufficientemente ricchi da trattarlo come una release vera e propria.
Tre pezzi, dicevamo, i primi due tra gli 8 e i 10 minuti, il terzo, la title track, che raggiunge i 20 ed è esattamente una summa di tutti i codici espressivi con cui la band si è dilettata in tutta la sua ultima fase di carriera. Che poi, a voler ben vedere, l’unico problema potrebbe essere questo. “The Tower” è uscito un anno e mezzo fa e questo nuovo lavoro, a partire dalla grafica di copertina, sembra riallacciarvisi idealmente. Ma al di là di questo, è evidente che il periodo post “It’s a Love Cult”, con l’abbandono di Håkon Gebhardt e considerando il doppio “Black Hole/Black Canvas” come un lavoro di passaggio, abbia segnato una parziale stabilizzazione del processo creativo, con l’abbraccio di sonorità più heavy e progressive ed una certa tendenza alla prolissità.
“The Crucible” non fa eccezione: l’apertura con “Psychozar” ci investe immediatamente con una cascata di riff sabbathiani, chitarre fuzz, mellotron e melodie di stampo epico. Un brano che i Motorpsycho hanno scritto decine di volte, che si sfoga come sempre nella parte centrale, con abbondanza di assoli ed un feeling generale di spassionata Jam Session.
I successivi 10 minuti di “Lux Aeterna” si muovono più o meno sulla stessa falsariga, seppur con una declinazione maggiormente folk settantiana, evidente nell’apertura acustica, dalle chiare atmosfere bucoliche. Il break centrale è qui più interessante, con l’efficace inserto dei fiati ad evocare quell’atmosfera jazzy che è un’altra grande passione della band.
La title track, coi suoi 20 minuti di durata, è probabilmente una delle tracce dove il trio ha flirtato maggiormente col Progressive Rock (la prima sezione strumentale è abbastanza eloquente in tal senso) ma passa dal Metal allo Stoner, al Free Jazz con disinvoltura, spesso e volentieri esercizio di stile, in alcuni punti fin troppo sovrabbondante e dispersiva, ma sempre e comunque di altissimo livello.
Facilissimo dunque inquadrare questo lavoro, un po’ più complesso decidere se ne valga la pena o meno. “The Tower” offriva già fin troppo materiale, bellissimo ma a tratti alquanto compilativo. Questi tre brani ne forniscono un ideale complemento, più spostato verso il lato Prog ma non così stilisticamente disomogeneo.
È che alla lunga, con tutto quello che hanno inciso e per quanto geniali siano sempre stati, evitare un certo effetto déjà vu è praticamente impossibile (soprattutto le linee vocali in questo senso mostrano segni di stanca). Paradossalmente, però, importa poco: sono ad un livello talmente alto che anche se si ripetono si rimane incantati lo stesso, con la sensazione, rinnovata di disco in disco, di trovarsi di fronte ad una band superiore.
Certo, potrebbero anche dilazionare un po’ di più le uscite, potrebbero tentare ancora qualche strada non battuta ma alla fin fine importa poco: ogni volta che esce un disco dei Motorpsycho respiriamo a pieni polmoni e ci riconciliamo con l’esistenza. E quel che conta, tra maggio e giugno torneranno nuovamente tra noi per una lunga serie di date (a memoria, è uno dei gruppi che ci ha maggiormente beneficato con la sua presenza): accorrete numerosi perché un concerto di questi qui è una delle esperienze più belle che vi potranno capitare. Dio ci conservi sempre una band come i Motorpsycho. Tutto il resto sono chiacchiere inutili.