The Bourne ultimatum (tralasciamo il sottotitolo italiano che non ha assolutamente nessuna attinenza con il film) innesta la quarta fin dalla prima inquadratura e corre per tutta la sua durata a rotta di collo verso un'ideale chiusura del cerchio, Greengrass si scrolla di dosso qualsiasi presunto obbligo di riassumere e spiegare a uso dei neofiti chi sia Jason Bourne e confeziona un terzo capitolo strabiliante per ritmo, tecnica, coinvolgimento e chiarezza, che visto il genere non è cosa da poco, anzi, andando a mettere un punto (poi ripreso da due successivi capitoli) a quella che probabilmente è la migliore saga action degli anni duemila.
Siamo di fronte al film d'azione perfetto, un obiettivo da raggiungere: quello della ricostruzione totale del passato recente di Bourne (Matt Damon) cancellato dalla perdita di memoria, un protagonista che punta dritto in quella direzione superando i vari ostacoli che gli avversari, in questo caso la C.I.A. pongono sul suo cammino. Si riprende da Mosca, è lì che avevamo lasciato Bourne in Supremacy, il protagonista continua ad avere flash della sua vita passata poco chiari, ma il cerchio pian piano si stringe e la chiave per ricostruire tutti i fatti potrebbe essere il giornalista Simon Ross (Paddy Considine) che sta per pubblicare un reportage sulle operazioni C.I.A. Treadstone e Blackbriar, programmi in cui era coinvolto lo stesso Bourne. Ovviamente si tratta di operazioni sporche e classificate di cui l'opinione pubblica è meglio non venga a conoscenza; uno dei vertici di Blackbriar, Noah Vosen (David Strathairn), vede Bourne ancora come una minaccia e si adopera per metterlo a tacere, ostacolato per quanto possibile solo da Pamela Landy (Joan Allen) che già nell'episodio precedente si era convinta delle buone intenzioni di Bourne. I tentativi di ricostruire tutta la sua storia e mettere fine alla persecuzione che già è costata a Bourne una persona cara, porterà il nostro in giro per mezza Europa tra Parigi, Londra, Madrid e con una puntata a Tangeri, per poi tornare finalmente a casa, dove tutto è cominciato, e mettere una volta per tutte fine a questa fuga/inseguimento continuo.
Greengrass realizza un lavoro di regia strepitoso, ci si perde nel seguire i movimenti di Bourne tra la folla, negli inseguimenti in auto, nelle corse sui tetti, il regista appronta soluzioni miracolose con la camera, aiutato dal montaggio e da tutto il comparto tecnico che si porta a casa tre Oscar meritatissimi (e forse servirebbe un Oscar ad hoc per le regie action che, si sa, vengono snobbate dall'Academy), una perizia tecnica che accresce la sensazione di coinvolgimento dello spettatore che si trova catapultato nei movimenti incessanti di Bourne, completamente catturato fino all'esplodere liberatorio di Extreme Ways di Moby sul finale, perfetta chiusura di una trilogia che poteva terminare qui. Damon è sempre più a suo agio in bilico tra l'azione pura e quel tocco di umanità positiva che al personaggio non manca, circondato da corrotti ed esecutori non pensanti, ad alleviare la sua solitudine dal lato giusto della barricata solo un paio di figure femminili, ben tratteggiate da Joan Allen e Julia Stiles. Senza timore d'incorrere in eccessivi entusiasmi, nel genere action meglio di Bourne solo l'inarrivabile tenente John McLane.