Il segno distintivo di Joanne Shaw Taylor (JST) è sempre stato il modo fantasioso di suonare la chitarra, uno stile spesso lontano da quei consunti cliché che impiegano molti blues-rockers. Per questo motivo, è difficile darle etichette, soprattutto sarebbe fuorviante parlarne come di una vera e propria artista blues. E in qualche modo, è lei stessa ad ammetterlo implicitamente, intitolando questo nuovo disco The Blues Album, come a voler evidenziare una decisa svolta rispetto ai lavori precedenti. E’ evidente, però, che siamo comunque lontani dall’accezione blues come la intendono i puristi, visto che anche in questo album il graffio rock non manca, e non sarebbe potuto essere diversamente, dal momento che in cabina di regia siedono, come produttori, Joe Bonamassa e Josh Smith. Si tratta comunque di un passo deciso in quella direzione, un disco più coeso sul genere rispetto a quanto ascoltato nei lavori precedenti.
L'album, infatti, è stato pubblicato dall'etichetta KTBA (Keeping the Blues Alive) di Bonamassa ed è stato registrato a Nashville con alcuni dei migliori musicisti blues della città, che hanno affiancato JST nella rilettura di brani di Peter Green, Otis Rush, Albert King, Magic Sam, Kim Wilson (The Fabulous Thunderbirds) e di un paio di canzoni soul di Don Covay. In scaletta ci sono anche cover di Little Village, Little Milton e James Ray, quindi, non i soliti standard che ci si sarebbe potuto aspettare, segno della volontà di evitare la frequentazione di luoghi comuni stereotipati.
Il parco musicisti che l’accompagna è semplicemente da urlo: Josh Smith (chitarra), Reese Wynans (tastiere), Greg Morrow (batteria), Steve Mackey (basso), Steve Patrick (tromba), Mark Douthit (sax) e Barry Green (trombone). Non solo: Joe Bonamassa aggiunge la sua chitarra e la voce a "Don't Go Away Mad" e il cantante gospel/soul Mike Farris è ospite in "I Don't Know What You've Got".
Acclarate le indubbie doti tecniche di JST come chitarrista, il lavoro fatto da Bonamassa in fase di produzione è stato quello, soprattutto, di mettere in risalto le doti canore della musicista inglese, di farne emergere il timbro e la versatilità. Operazione perfettamente riuscita, dal momento che questa è di gran lunga la miglior prova vocale di sempre della bionda chitarrista originaria delle West Midlands.
L'apertura "Stop Messin' Round" di Peter Green, è un boogie travolgente, un inizio perfetto e sensualissimo, in cui JST dispensa lava blues rock, mentre Reese Wynan sale sugli scudi con una straordinaria performance al pianoforte.
La lenta e sinuosa "If This Ain't A Reason" trova il suo punto di forza in uno scintillante arrangiamento di fiati, e "Keep On Lovin' Me" suona come se fossero le due del mattino in un fumoso jazz club dell'era del proibizionismo. In entrambi i casi, come si diceva precedentemente, non è solo la chitarra a risaltare, ma anche la voce di JST, mai così incisiva prima. Una performance vocale notevole, che risalta ancora di più in "Keep On Lovin' Me" di Otis Rush, in cui l’assolo della chitarrista viaggia in modalità blues elettrico di Chicago, e nell’intensa "If You Gotta Make a Fool of Somebody". Se la sbarazzina "Don't Go Away Mad", che ospita Bonamassa, è divertissement al 100%, "Can't You See What You're To Me" di Albert King fotografa un’altra eccellente prova vocale di JST, il cui assolo di chitarra raggiunge livelli stratosferici. Notevolissime sono anche il soul di "Let Me Down Easy", in cui la voce sensuale e sincera evoca Janis, il brillante honky tonk da bar di "Three Time Loser".
Se l’intento di questo nuovo disco era quello di spingere maggiormente sulle modalità espressive del blues e di mettere soprattutto in evidenza le doti canore di questa bravissima chitarrista, il risultato è raggiunto in pieno. Centratissimo anche il lavoro in fase di produzione e straordinario l’apporto tecnico di un pugno di musicisti dal talento cristallino. Un disco classicissimo e suonato mirabilmente, a cui, si potrebbe dire, manca solo un filo di originalità. Ma in fin dei conti, visto il genere, a chi importa?