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The Blower's Daughter
Damien Rice
2002  (14Th Floor)
AMERICANA/FOLK/SONGWRITER
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06/07/2020
Damien Rice
The Blower's Daughter
Una canzone tanto bella e struggente, questa, da oscurare nel tempo anche la fama del disco da cui proviene, e che si identifica così tanto con il suo autore da divenire una sorta di spontanea equazione: Damien Rice = The Blower’s Daughter

E’ il primo febbraio del 2002, quando Damien Rice, songwriter irlandese, originario di Kildare, pubblica il suo primo album, intitolato semplicemente O. Il disco, nonostante sia uscito per un’etichetta indipendente, la 14th Floor (Rice respinse l’offerta di alcune major, per poter dare sfogo, senza vincoli, alla propria libertà creativa), scala le classifiche anglosassoni, piazza due singoli nella top 30, e strappa sperticati elogi da parte della critica specializzata.

Un disco di folk delicato, intimista e malinconico, che viene saccheggiato da produzioni cinematografiche e televisive, che inseriscono molte delle canzoni in esso contenute nelle colonne sonore di film e serie: Delicate in Lost e Dr. House, Cold Water in E.R. – Medici In Prima Linea e nel lungometraggio Stay – Nel Labirinto Della Mente, Cannonball in The L World e The O.C. E’ The Blower’s Daughter, però, la canzone più “rubata”, visto che compare nella colonna sonora di The L World, in quella del bellissimo Closer di Mike Nichols e, strano a dirsi, anche ne Il Caimano, film datato 2006 per la regia del nostro Nanni Moretti.

Una canzone tanto bella e struggente, questa, da oscurare nel tempo anche la fama del disco da cui proviene, e che si identifica così tanto con il suo autore da divenire una sorta di spontanea equazione: Damien Rice = The Blower’s Daughter. Un brano che avvince fin dall’incomprensibile titolo, in cui molti hanno voluto un riferimento alla figlia di un fantomatico insegnate di clarinetto (blower, in inglese, si traduce in soffiatore), anche se lo stesso Rice ha sempre smentito.

Nonostante il titolo enigmatico e, a ben vedere, non particolarmente evocativo, il brano entra nell’immaginario collettivo come una delle canzoni più tristi di sempre, quelle da nodo in gola e fazzoletto alla mano, per intenderci. Anche perché il testo è molto meno sibillino e si riferisce con chiarezza a una storia d’amore finita o, volendo creare un’ulteriore suggestione, a un’attrazione non corrisposta, o a un rapporto impossibile, coltivato solo nella testa del protagonista del brano.

Ed è così, proprio come tu hai detto che sarebbe stato”: la canzone inizia con questa presa di coscienza che tutto è finito, la consapevolezza che il sogno d’amore è svanito nel nulla, frantumatosi contro la triste realtà dei fatti. Come dire: ci ho creduto, ho sperato, nonostante tutto, nonostante tu mi avessi avvertito che sarebbe finita male.

Certo, l’amore se n’è andato, ciò che poteva essere non è stato, restano il rammarico e la recriminazione (Ti ho detto che ti disprezzo?), ma dimenticare è impossibile e il ricordo fa male (“non posso toglierti gli occhi di dosso, non posso smettere di pensarti”). Il sentimento, però, non è eterno, e una canzone che codifica nelle liriche l’iconografia epica di un amore impossibile, ma senza fine, ha nel finale una svolta sorprendentemente amara: “non posso smettere di pensarti…fino a quando non troverò qualcun altro”.

Leggete quest’ultima frase in combinato composto con il primo verso della canzone e avrete scoperto il significato del brano: è così, il cerchio si chiude (il titolo del disco acquisisce maggior chiarezza), gli amori vanno e vengono, non c’è nulla che duri per sempre. E come nella vita, coi suoi corsi e ricorsi, la ripetizione di dinamiche che paiono esclusive, diventano poi buone per ogni altra relazione. Panta Rei: tutto scorre.


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