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REVIEWSLE RECENSIONI
11/06/2020
Palaye Royale
The Bastards
Rock’n’roll, glam, garage, pop, punk, art e fashion rock, un’abbondante spolverata di gotico ed ecco a voi i Palaye Royale. 15 tracce con alcune chicche imperdibili, per un trio canadese oramai americano, ma dal gusto terribilmente inglese. Non li conoscete ancora?! Bisogna recuperare. Ecco a voi l’occasione per farlo.

Noi ormai li conosciamo da qualche anno, quando con i due precedenti album, Boom Boom Room Side A (2016) e Side B (2018), hanno iniziato a diffondersi in rete e a calcare i palchi di America ed Europa. Fiutato l’effetto “nuovi My Chemical Romance” abbiamo pure già assistito ad un loro live (che abbiamo recensito qui) scoprendo che i rumors erano veri: abbiamo le ragazzine entusiaste dai 15 ai 20 anni, abbiamo una fascinazione per il look gotico, abbiamo lo spettacolo di un frontman che si appende a testa in giù sulle impalcature, ma abbiamo pure delle canzoni di alto livello, la capacità di essere credibili sia su disco sia dal vivo e una grande passione e determinazione.

Insomma: non stiamo parlando di un fenomeno da baraccone, ma di una proposta di fashion rock dalle forti tinte bohémien concreta, moderna e valida, che con questo nuovo terzo album, The Bastards, non fa che strutturarsi maggiormente e sperimentare con le proprie sonorità.

I Palaye Royale sono i tre fratelli Remington Leith (voce), Sebastian Danzig (chitarra) ed Emerson Barrett (batteria), a cui oramai si è aggiunto come membro ufficiale il bassista Daniel Curcio, che da diversi anni li aiutava nei live. Con il nuovo disco, i tre fondatori non perdono i loro alias visionari: il pirata, il vampiro e il gentiluomo, che mettono in scena con un look che farebbe felici sia Vivienne Westwood sia Tim Burton.

Questa volta però, il lavoro su The Bastards permette loro di ambientare l’album in un piccolo universo creato dalla band, che riflette la loro vita entro un mitologico e distopico mondo steampunk: l’isola di Obsidian, nel 1888. L’isola ha incoraggiato l’esistenza di liberi pensatori e artisti, ma l’utopia ha lasciato posto alla malvagità di un potere tossico, che porta chiunque desideri rimanere nella società ad indossare una maschera antigas.

The Bastards è sostanzialmente diviso in quattro atti da quattro canzoni l’uno per un totale di 48 minuti, in cui i testi sono stati usati per la prima volta come forma di terapia: uno strumento per liberare i propri demoni, un modo per dire le cose di cui volevano parlare.

Il primo atto è probabilmente il migliore e vale già il costo del disco, ma poi inizia il secondo ed effettivamente si conferma che l’acquisto è stato una buona idea.

In apertura di album “Little Bastards” mette subito le cose in chiaro, parlando di cosa voglia dire sentirsi soli, della rabbia e della frustrazione nell’avere intorno persone false, che ti guardano mentre affondi e non ti aiutano anche quando stai per perdere la testa. A seguire, una dietro l’altra, quattro delle più belle canzoni dell’album: “Massacre, The New American Dream”, che denuncia l’uso delle armi da fuoco negli Stati Uniti e l’imbarazzante quantità di persone innocenti uccise a colpi di pistola; la più elettronica “Anxiety” («Una generazione che è piena di ansia. La blasfemia si incontra ancora in un mondo così violento. I bambini piangono, le madri urlano, i padri bevono. Tutti voi bastardi urlate»); la bellissima e quasi cinematografica “Tonight Is The Night I Die” e l’insinuante “Lonely”, in cui Remington parla degli abusi che ha subito da bambino, l’abbandono del padre, la depressione e la solitudine, che in giovane età l’hanno portato più di qualche volta a pensare addirittura al suicidio.

Le tracce successive scivolano una dopo l’altra tra il secondo e il terzo atto del disco, e il gusto di ognuno porterà a trovare più di suo gusto una canzone diversa, ma stilisticamente errori o brutture non ve ne sono. Ci possono essere dei picchi particolarmente positivi che fanno sembrare le altre tracce meno brillanti, ma la qualità rimane sostanzialmente costante. In aggiunte alle già citate però, nell’ultimo atto, composto di sole tre canzoni di cui una bonus track in chiusa, non si può fare a meno di citare la bellissima, intensa e straziante “Redeemer”.

«Non vedi che tutti stanno morendo? Gli animali stanno piangendo. Le religioni stanno dividendo. Mentre la mia famiglia continua a combattere. Ora sono preso da qualcosa, la mia eterna sofferenza, alla ricerca del significato del tutto, ma non ho niente. Questa eterna tristezza. Ora sbiadisco nell'oscurità. Non so dove vado quando muoio. Deve essere meglio di così. E io sono qui. Sto solo aspettando che torni a casa e sto urlando tutto da solo, con il revolver e una nota. Per favore, rispondi al telefono? Tornerai a casa?»

Per tutti gli amanti di My Chemical Romance, Dead!, Boston Manor e Cage The Elephant è un ascolto quasi inevitabile. Per tutti gli amanti di un certo tipo di rock alternativo sporcato di garage, glam, punk che non ha paura di essere impacchettato in stilemi sonori contemporanei. Per tutti gli amanti di un suono strutturato e intenso ma dalle forti ombre oscure e lussureggianti.

Per tutti coloro che sanno di essere arrabbiati, vulnerabili, forti e perché no, anche stilosi. Per tutti coloro che sono stufi delle maschere di questo mondo ma che non disdegnano della possibilità di poterne indossare una ogni tanto, per sentirsi diversi e più lievi. Per tutti coloro che vogliono urlare ma anche ballare.

I Palaye Royale vi aspettano, l’ascolto di The Bastards anche.


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