Bisogna ammettere che non è facilissimo stare appresso a Sturgill Simpson. Da quando nel febbraio del 2017 ha vinto il Grammy per il miglior album country con A Sailor’s Guide to Earth (ritirato con un understatement raro e vinto anche per l’opera di rinnovamento del genere inaugurata con il precedente Metamodern Sounds in Country Music), da vero “outlaw” ha fatto di tutto per andare, musicalmente parlando, dove meno ci si aspettava di doverlo trovare. Ed ecco che a un album personale, commovente e ambizioso come Sailor’s Guide il cantautore originario del Kentucky ha risposto con una follia del calibro di Sound & Fury, un disco che mischia hard rock, psichedelia e funk ed è accompagnato da un anime diretto da Junpei Mizusaki. Nonostante una nomination nella categoria Best Rock Album agli ultimi Grammy, non si può dire però che il disco sia stato un successo commerciale, ed ecco quindi che, complice anche la pandemia da Covid-19, Simpson ha prontamente rilanciato, convocando nello studio del suo compianto mentore John Prine una serie di virtuosi del bluegrass (ribattezzati prontamente Hillbilly Avengers) registrando con loro due album gemelli di canzoni del proprio catalogo (Cuttin’ Grass, Vol. 1: The Butcher Shoppe Sessions e Cuttin’ Grass, Vol. 2: The Cowboy Arms Sessions). Dopotutto, cosa c’è di più sovversivo della tradizione?
Ed eccoci quindi arrivati a The Ballad of Dood & Juanita, annunciato quasi a sorpresa a metà luglio e uscito poco più di un mese dopo. Realizzato sulla scia del progetto Cuttin’ Grass, il disco vede Simpson tornare a pensare in chiave concept, come aveva già fatto con Sailor’s Guide. Ma questa volta, invece di provare a forgiare il sound del country del futuro, Sturgill guarda alla tradizione, registrando un album di classico country & western e raccontando una vicenda che sembra uscita da un film di John Ford. Ambientata nel 1862, in piena Guerra civile americana, la storia ha come protagonista Dood, un veterano dell’esercito ispirato alla figura del nonno di Simpson, Lawrence Grey Fraley, già apparso in altre canzoni del nipote (è sua la voce che apre Metamodern Sounds). Ritiratosi a vita privata nel natio Kentucky assieme alla moglie Juanita, Dood viene ferito gravemente dal fuorilegge Seamus McClure e creduto morto. Ripresosi, Dood mette la sella al mulo Shamrock e, assieme al fido segugio Sam, si lancia sulle tracce del bandito che ha rapito Juanita. Dopo essere stato salvato da una banda di Cherokee, Dood trova finalmente l’amata moglie e uccide McClure con un colpo di fucile.
Raccontata così, quella di Dood e Juanita è una storia in fin dei conti semplice e lineare, dai tratti archetipici, a cui Simpson sa però donare un fascino antico da racconto attorno al fuoco, proprio come prima di lui ha saputo fare sapientemente Willie Nelson in Red Headed Stranger. Ed è proprio al capolavoro del grande cantautore texano che Simpson ha guardato per dare forma a The Ballad of Dood & Juanita, a partire dalla spontaneità con cui è stato realizzato. Se Red Headed Stranger è stato registrato in soli cinque giorni, Simpson ha saputo fare di più, tanto che nello stesso lasso di tempo è passato dal non avere niente in mano se non una vecchia chitarra Ditson all’avere il disco completo. Una velocità e una freschezza che si sentono lungo la mezz’ora scarsa del disco, con Simpson e i suoi Hillbilly Avengers (Sierra Hull, Stuart Duncan, Mike Bub, Scott Vestal, Tim O’Brien e Mark Howard, a cui si è aggiunto il batterista di sempre Miles Miller) intenti a divertirsi come non mai, contaminando il bluegrass di partenza con il country, il folk degli Appalachi, il gospel, il canto a cappella e anche un po’ di musica latina, come nel walzer spagnoleggiante “Juanita”, che grazie all’intervento di Willie Nelson in persona e della sua fidata Trigger sembra uscire da un disco di Marty Robbins.
Registrato a Nashville nei leggendari Cowboy Arms Hotel e Recording Spa e concepito ascoltando a ripetizione Red Headed Stranger, di ritorno dal set in Oklahoma di Killers of the Flower Moon (dove Simpson sta partecipando alle riprese del prossimo film di Martin Scorsese, in cui ha una parte assieme al collega Jason Isbell), The Ballad of Dood & Juanita riesce nel non facile compito di lanciare un messaggio all’America di oggi per mezzo di una storia ambientata quasi centocinquant’anni fa. Dopotutto il protagonista, che ha ascendenze indiane, si è lasciato la guerra alle spalle e ha sposato una donna di origini latine, sceglie una faticosa vita rurale anziché lavorare in miniera per un padrone sfruttatore, sfatando così in un colpo solo molti dei pregiudizi e degli stereotipi che da sempre accompagnano l’esistenza di chi non vive nelle due coste degli Stati Uniti.
Giunto al quinto album di inediti, è difficile prevedere quale sarà la prossima mossa di Sturgill Simpson, che ha più volte espresso – alla maniera di Quentin Tarantino – l’intenzione di ritirarsi una volta completato il suo disco numero cinque. In una recente intervista, infatti, il cantautore del Kentucky ha lasciato intendere che non gli dispiacerebbe formare una band, un po’ come fece David Bowie con i Tin Machine. Staremo a vedere. Adesso è meglio non pensarci troppo e godere invece della brezza genuina portata dalla musica contenuta in The Ballad of Dood & Juanita. Un album che superficialmente sembra leggero e un po’ reazionario, ma che invece nasconde un carattere caparbio e fermamente progressista, proprio come la personalità e la visione musicale del suo autore.